San Francesco di Paola e il beato Francesco Mottola
Uniti da un sigillo di fuocoC’è un simbolo che accomuna Francesco di Paola e Francesco Mottola, un santo ed un beato che nella nostra terra di Calabria hanno lasciato una traccia importante del loro percorso umano: il fuoco.
Oggetto di numerose considerazioni ed analisi, presente in molteplici analogie e simboli mitologici, scientifici, filosofici e religiosi, il fuoco occupa un posto preminente per la sua realtà insieme dinamica e misteriosa, silenziosa e terribile, naturale e al tempo stesso ineffabile. Il fuoco presenta delle caratteristiche singolari, amate e odiate, apprezzate e invise: illumina e riscalda, vivifica e distrugge, rende visibili le forme e non ha forma in sé, è sulla terra ma si protende verso il cielo, dà speranza e incute timore, è sublime ma tremendo, può essere visto e usato, mai circoscritto e definito. Il fuoco è luce e la luce è vita!

In San Francesco di Paola, l’inizio e la fine della vita del Santo sono contrassegnati da questo simbolo: il giorno della nascita, avvenuta a Paola il 27 marzo 1416, si racconta che uno spettacolo insolito si offrì alla vista di tutti: misteriose fiamme di fuoco uscivano dalla casa dei genitori di Francesco e nel 1562 gli Ugonotti, nel contesto delle guerre di religione, quando profanarono la sua tomba, estrassero il corpo di lui ancora intatto, lo trascinarono nella foresteria del convento e cercarono ripetutamente di bruciarlo, ma invano. Alla fine pensarono di usare per il rogo la grande croce che stava sull’altare maggiore. Solo su questo fuoco i resti mortali di Francesco si consumarono. Scrive Mons. Morosini: “Amando Dio, S. Francesco aveva la sua anima, la sua volontà e il suo cuore pieni del fuoco divino. Per questo, come se fosse un altro Apostolo, il fuoco non gli ha mai nuociuto in tutta la sua vita; egli ha potuto trattare familiarmente con esso, maneggiarlo, andare su di esso a piedi scalzi, come risulta dalla sua vita. Forse, sapendo questo, gli eretici pensavano che un fuoco ordinario non avrebbe potuto offendere quel santo corpo; perciò, per riuscire nel loro intento, vollero un fuoco speciale… Si avvalsero di un fuoco fatto con una immagine di Dio per bruciare il corpo del Santo”.
La vita del Beato tropeano, Lui che si definiva “una povera lampada che arde”, è stata una tensione d’amore per Cristo, come l’aquila che sale in alto e muore innamorata e bruciata dal Sole. Alle oblate, in una meditazione ripeteva: “voglio che formiate un rogo solo. Quando la legna è diventata vampa, non sente più la diversità, né l’angustia: arde tesa verso il cielo, e non c’è che l’emulazione del fiammeggiare e non c’è che l’angustia di essere lontana dal cielo. Così noi!”.

Anche nella vita di don Francesco Mottola, ci fu un rogo che rimase scolpito nel suo cuore sacerdotale e fu l’incendio che distrusse a settembre del 1941 il Seminario di Catanzaro, “una costituzione solida, bella […]. L’aveva voluta il Papa: Pio X santo, nel cuore della Calabria – Cor Cordium – per raccogliere in unità i cuori di tutti i calabresi” (F. Mottola, L’arciprete di Parghelia). Un evento che colpì non solo don Mottola, ma tutti i sacerdoti che in quel luogo avevano studiato e si erano formati, tra di essi don Francesco Maiolo, compagno di don Mottola che così scrive su Parva Favilla: “La pena era per il Seminario. Ci pareva di sognare. Bruciava, bruciava tutto. Il fuoco correva, si propagava veloce, incendiava, distruggeva tutto… Bruciava: bruciava… Quanta luce, dai suoi Sacerdoti – centinaia – era venuta alla Calabria! Ora bruciava e cadeva. Luce di fuoco, di distruzione… ma … il Seminario risorgerà. Raccoglieremo ad una ad una le pietre affumicate, su cui non si è dileguata ancora l’orma dei nostri passi, ricomporremo ad una ad una quelle zolle, piene dei nostri sospiri e dei canti della nostra giovinezza, e dalle ceneri, trasformate in divina semenza, rinascerà la primavera nuova più rigogliosa di prima, risorgerà la vita”.
E così è stato… perché don Mottola e con Lui tante anime sacerdotali hanno davvero fatto ardere in questa nostra terra un rogo grandioso che dalla terra è salito al cielo, al cospetto di Dio.
C’è un testo bellissimo dedicato a San Francesco ed è la leggenda aurea. In essa don Mottola, ci dice che il 2 aprile 1507 a Paola fu una serata di pianto: perché la fiamma lassù non splendeva. Il Santo era morto. Ma se non splende la fiamma, continua Francesco Mottola, tuttavia in Calabria ci sono semi di fiamma, basta cercarli, basta alimentarli perché splendano in fiamma.
E la storia di questa terra benedetta da Dio è ricca di questi semi di fiamma: la martire Domenica di Tropea, l’abate Gioacchino da fiore, San Leo di Africo, San Fantino, San Nilo da Rossano, S. Elia lo Speleota e poi tanti altri fino a nostri tempi, ma è necessario che questi semi non si spengano… per questo l’invocazione del sacerdote tropeano diventa anche la nostra: S. Francesco ritorna! Tu solo, con la carità ch’è di Cristo, solo tu puoi adunare le sparse faville e alla Calabria, che ti attende ogni giorno, dare unità di fiamma…
E la storia così continua nella vita di tutti coloro che si alimentano al fuoco dello Spirito dell’Amore divino e si impegnano a seminare ogni giorno pace, giustizia sociale, verità, bene comune, dignità umana, riscatto, carità, speranza.
Anche noi, così come Francesco di Paola e Francesco Mottola, saremo uomini accesi e pronti a gettare nel mondo un fuoco che “fa bella la vita”.