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La vita del beato Francesco Mottola come luce che illumina il cammino

Quell’esempio per tenere accesa la fiaccola della speranza

È significativo che Papa Francesco abbia messo la virtù della speranza al centro del prossimo Giubileo del 2025 che si aprirà nella notte di Natale. Infatti, come ci ricorda Mons. Rino Fisichella, “Parliamo sempre di fede e carità ma mai di speranza, la grande sconosciuta, perfino l’arte ha sempre trovato difficoltà nel rappresentarla. Ma senza speranza non riusciamo a cogliere l’essenziale della vita cristiana, perché è lei, insieme alla fede e alla carità che contraddistingue lo stile di vita del credente. Parlare un linguaggio di speranza non è facile, ma è la grande sfida che ci attende”.  Nasce spontaneo interrogarci come credenti su come possiamo coltivare la speranza oggi, in tempi che ci appaiono così cupi, tra guerre, crisi climatica e altri disastri che affliggono l’umanità. Che “volto” ha, concretamente, la speranza? In chi e cosa possiamo sperare? Per rispondere a queste domande, abbiamo bisogno di testimoni che “incarnino” la speranza, che siano segni di speranza e allo stesso tempo appelli di speranza per la nostra vita (cfr. Bolla di indizione del Giubileo, Spes non confundit). Il cristianesimo, infatti, non è una dottrina astratta, è la fede dell’incarnazione: ci aiuta, dunque, la speranza incarnata e testimoniata da uomini e donne di ieri e di oggi. Solo così la speranza – che è una “componente” della fede – ci appare possibile e anzi desiderabile.  Mi ha sempre colpito che in alcuni momenti fondamentali della nostra vita cristiana, il nostro battesimo, il matrimonio e l’ordinazione sacerdotale, la Chiesa invoca e chiede l’intercessione dei Santi. È importante sentire questa presenza che ci sostiene nel cammino della vita, ma è altresì necessario guardare a loro, perché essi sono come fratelli e sorelle maggiori, passati per la nostra strada e che hanno percorso il grande cammino dell’essere-uomo nel modo in cui Cristo lo ha percorso prima di noi, dando carne, voce e storia alla virtù della speranza

Tra i Santi invocati e a cui possiamo e dobbiamo guardare, c’è anche il nostro Beato tropeano, Francesco Mottola, senza dubbio un testimone e compagno di speranza.

Per il nostro Beato, la speranza è “la certezza del cuore che vive di fede e si slancia nella carità splendente”.   Don Mottola con la sua vita ci conferma che la speranza si radica nella fede. Il fondamento della speranza nella vita del sacerdote tropeano si trova in quella fede che ha sempre sostenuto la sua vicenda umana e cristiana. Il Beato ha avuto una fede grandissima che diventava un continuo affidamento pieno e un abbandono completo in Dio. Così scriveva alle Oblate in una meditazione del tempo di Avvento: “la speranza di cui parlano i Santi è fiducia, abbandono sul cuore materno della Madonna, sul cuore del Padre. A Lui l’abbandono del nostro passato, del nostro presente e del nostro futuro. Del nostro passato perché la sua onnipotenza non è mai così grande come quando perdona. Del nostro presente, perché ci ama più di quanto possiamo amarci noi stessi ed è interessato alla nostra salvezza più di quanto possiamo esserlo noi. Del nostro futuro, perché Egli solo varca i tempi, sovrasta gli spazi. La speranza non è che fede divenuta certezza, vita: è fede vissuta nel cuore”. La sua speranza, quindi, non si poggiava su fatti umani, ma sulla certezza che Dio è presente e salva. E nel Beato Francesco, questa consapevolezza fioriva nella preghiera e nella preghiera tendenzialmente contemplativa. “Preghiamo e andiamo, soleva dire don Mottola, con la grazia di Dio che non viene negata agli uomini buona volontà; la contemplazione deve dominare tutta la nostra vita. Solo così vinceremo”. Si inverano così le parole di Papa Benedetto XVI nella sua enciclica sulla speranza: “un primo essenziale luogo di apprendimento della speranza è la preghiera. Se non mi ascolta più nessuno, Dio mi ascolta ancora. Se non posso più parlare con nessuno, più nessuno invocare, a Dio posso sempre parlare. Se non c’è più nessuno che possa aiutarmi – dove si tratta di una necessità o di un’attesa che supera l’umana capacità di sperare – Egli può aiutarmi”. (Spe Salvi, 32).

Chi è ricco di speranza cristiana non sa vedere nelle difficoltà della vita, nel dolore e nella sofferenza ostacoli insormontabili, ma vede tutto superabile per arrivare alla meta. E il Beato Francesco, radicato e fortificato dalla virtù della speranza, non ha mai vacillato né venuto meno ai suoi doveri e alla sua missione, anche dinanzi agli eventi cupi e tristi.

Le testimonianze raccolte nel processo di beatificazioni concordano su questo aspetto: “nelle difficoltà, don Mottola, viveva la virtù della Speranza e la infondeva agli altri. Non si è lasciato mai abbattere, né ha mai lasciato di sperare. Nei suoi incarichi come rettore, canonico penitenziere, confessore, ebbe solo l’intenzione di portare Cristo alle anime”; “ripeteva spesso: “nessuna cosa vi sgomenti”, “la speranza non è adagiarsi, aspettarci tutto da Dio, ma operare amando”.

Da queste semplici considerazioni, possiamo allora concludere che il Beato Mottola ha posto davvero la speranza come principio della sua azione e ha attinto a questa virtù teologale la carica per tutte le sue attività.  E don Mottola, vivendo in questo modo, è diventato così ministro e seminatore della speranza per molti; perché, come affermava Benedetto XVI “la speranza in senso cristiano è sempre speranza per gli altri ed è speranza attiva, nella quale lottiamo perché le cose non vadano verso la fine perversa” (Spe Salvi 74).

L’apostolato del sacerdote tropeano è stato l’apostolato della speranza cristiana, perché ha saputo nutrire la speranza di domani, risanando il dolore di oggi dei tanti poveri e ammalati che hanno incrociato i suoi primi passi di giovane prete nei tuguri della città e hanno accompagnato le diverse tappe del suo itinerario sacerdotale. 

Don Mottola ha seminato la speranza non voltandosi dall’altra parte e non avendo paura di guardare da vicino la sofferenza dei più deboli, dei “nuiu du mundu”.  Ha saputo scorgere quando il sole della loro vita era oscurato dalla solitudine, ha saputo intercettare quando la luna delle loro attese era spenta o quando le stelle dei loro sogni era cadute nella rassegnazione, sconvolgendo la loro vita. E si è fatto prossimo, seminando speranza nella povertà, diventando luce mentre il sole si oscurava, testimone di compassione mentre attorno regnava la distrazione, uno sguardo amante e attento nell’indifferenza diffusa. E poiché non possiamo limitarci a sperare, ma dobbiamo “organizzare la speranza” (don Tonino Bello), il nostro Beato, da povero di spirito qual’era, ha iniziato a seminare e compiere gesti di tenerezza e di amore che poi sono diventati il nucleo originario di tutte le strutture e le opere di carità che nel corso degli anni hanno costituito i frutti più belli della presenza della famiglia oblata nel nostro territorio. Infatti, come ci insegna Papa Francesco “se la nostra speranza non si traduce in scelte e gesti concreti di attenzione, giustizia, solidarietà, le sofferenze dei poveri non potranno essere sollevate, l’economia dello scarto che li costringe a vivere ai margini non potrà essere convertita e le loro attese non potranno rifiorire” (omelia per la giornata mondiale dei poveri, 14 novembre 2021).

“La vita è come un viaggio nel mare della storia, spesso oscuro e in burrasca, un viaggio nel quale scrutiamo gli astri che ci indicano la rotta. Le vere stelle della nostra vita sono le persone che hanno saputo vivere rettamente. Esse sono luci di speranza” (Benedetto XVI, Spe Salvi, 49). Il Beato Mottola ha avuto nell’anima la divina speranza della Santità; il suo esempio ci aiuti a tenere accesa la fiaccola della speranza.