La foto del Papa sofferente in preghiera nella cappella del Policlinico Gemelli
Quel Cristo romano che illumina e dà speranzaE’ trascorso oltre un mese dal giorno in cui Papa Francesco si trova ricoverato al Policlinico Gemelli di Roma, malato insieme agli altri ammalati, costretto ad affrontare le cure di una brutta polmonite bilaterale. Sono giorni e ore di grande apprensione per la sua salute e numerosa e spontanea è salita al cielo la preghiera dal cuore di tanti uomini e donne da tutte le parti del mondo. Una risposta silenziosa e orante alle tante fake news e vociare continuo di fatalisti e complottisti. Da quella stanza al decimo piano dell’ospedale Gemelli, il Papa continua a guidare la Chiesa di Dio, a condurre la barca di Pietro, pur nella fragilità del suo corpo e con l’offerta della sua sofferenza fisica. In questo momento di particolare prova per il Successore dell’apostolo Pietro e per la Chiesa tutta, ci è chiesto di accogliere questo speciale magistero della sofferenza e della fragilità che il Papa ci sta donando.

L’ immagine del Papa in sedia a rotelle, con lo sguardo basso e assorto nella preghiera, nella prima foto dal giorno del ricovero, e ancor prima l’audio con la sua voce sofferente, non sono sicuramente un’ombra sul suo pontificato, ma una luce che illumina e dà speranza. Infatti la sofferenza, che il Papa sta vivendo con serenità e dignità, non è una sconfitta, ma il cuore stesso del mistero della Croce. Come ricorda san Paolo, “quando sono debole, è allora che sono forte” (2Cor 12,10): proprio nella fragilità, il Papa testimonia che la vera potenza è quella dell’amore che si dona. Ed è quello che aveva ben compreso anche il Beato Francesco Mottola che soleva ripetere “quanto più si ama, più si è” ed ancora “ quanto più si soffre, più si è” e nel suo diario annotava: “più si è morti, più si ha la vita, più si dà la vita”. Anche la vita di don Mottola è stata segnata dall’esperienza della malattia che lo colpì appena quarantenne, donandogli però un senso ancora più profondo e autentico. Furono gli anni più belli perché la sofferenza del suo corpo martoriato, accolta e offerta, fu fonte d’amore così da renderlo testimone e partecipe del mistero di Cristo nella fecondità di quell’apostolato del tutto “speciale”. Don Mottola ha amato in modo unico il Papa. Lo chiamava “il Cristo romano”. Ai suoi oblati ha chiesto di mettere il Papa al centro del proprio amore, ricordando che “come non si può concepire un sacerdote che non ami Gesù Eucarestia, parimenti non ci può essere un sacerdote che non ami il papa”. In don Mottola era chiaramente radicata la consapevolezza di sentirsi non solo “figlio di Dio”, ma anche “figlio della Chiesa”. Da qui la sua obbedienza senza riserve al Papa e ai Vescovi. Affermava: “questa legatura col papa e coi vescovi è la nostra gloria più bella”. Nel suo apostolato, il Beato ha amato e operato in comunione con la Chiesa e ha sempre testimoniato l’unità con la Chiesa, di cui Pietro era “la voce divinamente autorevole”. A Papa Francesco, in questo particolare tempo di prova che sta affrontando, va il nostro pensiero e la nostra preghiera, sostenuta dall’intercessione del Beato tropeano, martire d’amore e servo della Chiesa.