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Ritiro spirituale di oblate, oblati e sacerdoti nel 124esimo anniversario della nascita del beato Francesco Mottola

Quei compleanni che rinsaldano l’unità della famiglia

Il giorno del compleanno è solitamente una di quelle date che non si possono dimenticare, perché il giorno del compleanno non è solo il giorno del festeggiato, ma anche di tutta la sua famiglia e degli amici più cari che insieme al festeggiato ringraziano Dio per il dono della vita.

Se poi questa famiglia non è quella biologica, ma una famiglia “spirituale” come quella degli oblati e delle oblate del Sacro Cuore, allora il 3 gennaio, giorno in cui si ricorda la nascita del Beato Francesco Mottola, avvenuta a Tropea nel 1901, diventa un momento di festa e di incontro per tutti coloro che hanno attinto all’olio di quella lampada “sorgente di vita” e che continua ad ardere ancora di più dopo 124 anni dalla nascita e 56 dalla morte.

E così, lo scorso 3 gennaio, la famiglia oblata, nei suoi tre rami e con la presenza anche di altri amici che ci sostengono, si è riunita presso la casa di spiritualità Maranathà a Gasponi, per vivere un momento di fraternità gioiosa e di spiritualità, nel clima festoso del natale appena celebrato e nel contesto speciale del Giubileo.

E al Giubileo nel suo significato storico e biblico che ha fatto riferimento il fratello maggiore dei sacerdoti Oblati, don Francesco Sicari, nella meditazione tenuta durante la recita delle lodi mattutine. Ricordando il significato del giubileo, come condono generale, don Sicari, facendo riferimento all’arte del resettare, che in informatica consiste nell’ azzerare le operazioni svolte da un elaboratore e quindi riavviare un computer o uno smartphone, ha invitato tutti e ha auspicato che il Giubileo possa essere un tempo di grazia, dove “provare a far ripartire il cuore dopo averlo svuotato di tutto ciò che lo appesantisce, per risintonizzarlo sulla lunghezza d’onda del Cuore di Cristo”.

Una operazione necessaria per vivere ancora oggi la vocazione e missione di certosini e carmelitana della strada o meglio pellegrini di speranza, per dirla con il titolo dell’anno Giubilare.  Pellegrini “coi lombi cinti e col bordone in mano e con una bisaccia sulle spalle, una croce sul petto” come li descriveva don Mottola in una meditazione alle oblate: pellegrini “perseguitati da una divina imprecazione: non fermarsi e riposarsi mai e così avanti, avanti per tutte le vie del mondo”.

L’invito del fratello maggiore dei sacerdoti oblati, rivolto agli oblati è di “essere mendicanti  e pellegrini coi lombi cinti e il bordone in mano e nella bisaccia l’essenziale, pellegrini e compagni di strada degli uomini e delle donne di oggi, nella consapevolezza della complessità del tempo che stiamo vivendo, un tempo in cui le nostre società sembra non sanno più che farsene del cristianesimo, imitando il Beato Mottola, attraverso la testimonianza delle opere, per raccontare  una prossimità e una vicinanza che possa alimentare quella speranza che soprattutto i più fragili e deboli oggi cercano. In questo modo si potrà alimentare il fuoco della fede che alimenta la carità e infonde speranza”.

Per essere testimoni credenti e credibili del fuoco della fede, è necessario partire dal cuore, come anche Papa Francesco ha ricordato alla Chiesa tutta, con la sua ultima enciclica “Dilexit nos”. E l’approfondimento dei primi due capitoli del documento pontificio è stato il lavoro che ha caratterizzato l’intera giornata della fraternità oblata, grazie alla guida sapiente e illuminante di don Mario Spinocchio, rettore del Pontificio Seminario San Pio X di Catanzaro. Il sacerdote catanzarese ha proposto cinque scampoli di riflessione, “come cinque sono le dita di una mano”, ha affermato, “immagine oggi delle nostre mani che vogliono alzarsi al cielo per benedire il Signore che ci ha amati di un amore eterno e vogliono diventare servizio al fratello che ci sta accanto, cominciando dai suoi piedi”. E così in un intreccio ben riuscito di testi dell’enciclica, scritti del Beato Mottola e stralci di poesie, don Mario ha regalato a tutti “scintille” utili per nutrire l’anima. Al termine di ognuna delle cinque riflessioni “Ho un cuore dunque sono, la bussola del cuore, cuore genera cuore, cuori ostinati, o sì o no”, sono seguiti gli ancoraggi, che attingendo agli scritti di don Mottola hanno permesso ai presenti di interrogare il proprio vissuto di vita e di consacrazione, per scorgervi e verificare la propria responsabilità nel vivere la fedeltà alla missione di Oblati del Sacro Cuore. Perché, come affermava il Beato “è urgente stringere le fila e prendere ognuno la propria responsabilità sul serio… o sì o no”.