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Intervista al cantautore Sergio Cammariere

La musica come la speranza porta luce nei momenti bui

Sergio Cammariere è uno di quegli artisti capaci di trasformare musica e parole in un viaggio tra sogni, emozioni e atmosfere senza tempo. Con il suo stile raffinato, che mescola jazz, influenze latine e suggestioni mediterranee, il cantautore calabrese ha conquistato da oltre 20 anni un posto unico nel panorama musicale italiano. Ma è anche la sua profonda introspezione a parlare al cuore di chi lo ascolta, con testi intrisi di poesia e interpretazioni cariche di passione.

In questa intervista, Cammariere ci accompagna dietro le quinte della sua musica e della sua visione artistica, raccontandoci anche della fede che accompagna l’artista di Crotone che, con classe, poesia e sensibilità, sa dare voce alla bellezza e alle complessità della vita.

Partiamo dal recente Pitagora doro. Finalmente la tua Calabria ti ha reso omaggio, troppo tardi? 

Forse la risposta sta nel libro di Eliana Godino Ritratti del Sud. È un libro fotografico dove la Godino celebra artisti, imprenditori e tutte le eccellenze calabresi che si sono affermate in Italia, in Europa e nel mondo. È un lavoro che racchiude la mia risposta e la mia testimonianza. 

Io però non sono tipo da rimpianti: per me, tutto arriva al momento giusto, se lo guardiamo dal giusto punto di vista, perché bisogna vedere da quale punto di vista osserviamo il flusso del tempo.

In questo senso, inaugurare il nuovo teatro di Crotone è stato un momento simbolico?

Assolutamente sì. Dopo trent’anni di attese, gli amministratori hanno mantenuto la promessa. È stato un onore per me aprirlo con un’orchestra. Quando c’è un’orchestra, avviene qualcosa di irripetibile, di sublime… un vero abbraccio.

Nei tuoi concerti il pubblico sente una connessione profonda. Come riesci ad arrivare a tutti e allo stesso tempo a toccare ciascuno singolarmente?

È la forza della mia storia. Ho raccontato il mio percorso nel libro Libero nellaria: infanzia, adolescenza, anni difficili prima del successo. Chi ha aspettato 42 anni per arrivare a Sanremo vive il tempo in modo diverso: non lo misuro in anni, ma in intensità. Questo lo senti, credo, anche nei miei live.

Nel tuo ultimo album “Una sola giornata”, esplori lidea di racchiudere unintera vita in un giorno. Qual è, allora, lattimo più importante?

È l’attimo in cui siamo chiamati a trovare la nostra strada, e per me significa anche fede. Da giovane, cantavo le Sacre Scritture con la comunità neocatecumenale del Duomo di Crotone. Questo mi ha avvicinato a un’entità superiore. È quello che io chiamo il Padre della notte, il nostro Padre della notte. Bisogna ammetterlo e avere il coraggio di accettarlo. O si ha fede, o non la si ha.

In Padre della notte c’è una frase toccante: Tu che hai dato a noi la fede come agli uccelli il volo.” Unimmagine potente.

Sì, “Padre della Terra, padre di ogni uomo…”. Quando l’ho cantata per la prima volta in Vaticano, nella Sala Nervi, era il 2003, ed era ancora inedita. Mi permetto di ricordare il maestro Renato Serio, che ci ha lasciato da poco e con cui ho avuto l’onore di collaborare. Quel giorno, in Vaticano, Padre della notte è stata eseguita con un grande coro e una grande orchestra, e il maestro Serio ha accompagnato quel momento. Abbiamo collaborato anche per I Promessi Sposi, l’opera moderna di Michele Guardì e Pippo Flora, che ha a sua volta dei risvolti profondamente spirituali

Siamo alla vigilia del Giubileo Pellegrini di speranza”. La speranza, nelle tue canzoni, è sempre presente. Senti la responsabilità di essere portatore di speranza?

La mia musica, insieme ai testi di Roberto Kunstler, vuole parlare anche di questo: del bisogno di luce che c’è anche nei momenti più bui. Credo che sia necessario un riavvicinamento alla spiritualità, soprattutto per le nuove generazioni che, a causa della tecnologia e delle nuove modalità di fruizione della musica e delle arti, sembrano essersi allontanate da questo elemento fondamentale. Oggi, i giovani, sempre connessi ai telefoni, perdono spesso il contatto con l’aspetto spirituale della vita. È importante intervenire per rieducare, a partire proprio dalla musica. Bisognerebbe ripartire dalle scuole, insegnando ad ascoltare la grande musica, quella che ha segnato la storia dell’umanità: da Bach e Beethoven fino ai compositori del Novecento. In quelle opere c’è un tocco divino. Al contrario, la musica di oggi – quella che si sente ovunque, dalle televisioni alle radio – manca spesso di sostanza. Io la definisco come “a-musica”, come se fosse una negazione della vera musica, con una “a” privativa.

Un esempio invece di musica con la M maiuscola oltre a quella dei grandi compositori? 

La musica corale. Penso, ad esempio, ai canti corali durante i riti eucaristici: quando un coro canta insieme, si crea una connessione, una presenza che si avverte chiaramente. In quei momenti si tocca la fonte della speranza, ed è un’esperienza profondamente spirituale. Il canto corale è qualcosa di straordinario.

E cosa pensi della musica cristiana contemporanea? 

Trovo che la Christian Music sia un’espressione splendida. In America, questo genere ha una tradizione fortissima, con una varietà incredibile di stili e artisti che reinterpretano la tradizione corale con uno stile moderno, ritmi trascinanti e sonorità gospel. Artisti come Kirk Franklin o Maverick City Music sono trascinatori, capaci di far vibrare l’anima attraverso il ritmo e l’energia del canto. In Italia, purtroppo, manca ancora uno spazio significativo per questo genere. Tuttavia, ci sono stati tentativi interessanti. Io ricordo con affetto quando agli inizi ho avuto la fortuna di cantare il repertorio di Kiko Argüello, come il celebre Resuscitò. Le sue canzoni, ispirate alle Sacre Scritture, vicine allo spirito latino e mediterraneo. Anche se la tradizione musicale cristiana moderna in Italia è meno radicata rispetto ad altri Paesi, penso che ci sia un potenziale enorme. La musica corale e spirituale è universale e potrebbe parlare al cuore di tanti, anche nel nostro contesto.

In conclusione, tornando alla nostra terra e al pianoforte, strumento centrale nella tua musica, potresti raccontarci quando ha iniziato a suonare Sergio, quel bambino calabrese di Crotone? 

Quando avevo sette anni, mio zio Michele mi regalò una vecchia melodica. Era una melodica soprano con due ottave, una sorta di piccolo pianoforte a fiato. Fu con quello strumento che capii le basi della musica. Non so spiegare come, ma fu come se le geometrie dell’armonia si rivelassero a me. Da quel momento, iniziai a coltivare la mia passione e il mio talento, cercando sempre di capire da dove provenisse quel dono, come se volessi svelare un legame karmico. Questo regalo ha segnato l’inizio del mio percorso musicale che mi porta a lasciare un’impronta del mio spirito e della mia anima.

Dio si è servito dello zio per mostrarti la strada? 

Sì, ed è stato bello ricevere qualcosa di così significativo dalle mani di qualcun altro.