La mappa per arrivare ad una Chiesa inclusiva
Il bello comincia ora. Dopo tre anni di confronto al vertice, conclusa la seconda sessione della XVI Assemblea del Sinodo (2-27 ottobre 2024), è il momento di sperimentare la sinodalità alla base ovvero di “camminare insieme”, nelle nostre diocesi, nelle nostre parrocchie, nella vita comunitaria e associativa. Siamo chiamati tutti a metterci in gioco, in forza del sacerdozio regale ricevuto con il battesimo. La CEI ha poi chiamato a raccolta oltre mille delegati e vescovi nella basilica romana di San Paolo Fuori le Mura per la prima Assemblea sinodale (15-17 novembre). È una delle tappe della cosiddetta “fase profetica” durante la quale ci si è confrontati sui lineamenti, facendo il punto sui risultati finora raggiunti e sulle traiettorie pratiche da proporre.
Il Sinodo ci ha consegnato una “mappa” per imboccare la strada che conduce a una Chiesa inclusiva, dove nessuno sia messo alla porta, secondo l’immagine del banchetto preparato da Dio per tutti i popoli descritta da Isaia e scelta come riferimento nelle varie fasi dei lavori. Il documento finale composto di 155 punti offre delle tracce, che il papa ha condiviso in toto. Francesco ha rinunciato a pubblicare una esortazione apostolica e ha fatto proprio il documento votato nell’Aula Palo VI. Il che significa che dei laici per la prima volta sono co-autori di un testo magisteriale.

Va ricordato, infatti, che dei 368 delegati al Sinodo sulla sinodalità oltre un quarto (96) non apparteneva all’episcopato. Di questa fetta una buona percentuale era formata da laici e oltre la metà da donne, dotati degli stessi diritti di parola e di voto dei vescovi. Anche la Calabria, possiamo dire, era rappresentata. Tra i padri sinodali figurava l’arcivescovo di Napoli, Domenico Battaglia, il nostro “Don Mimmo”, originario di Satriano. Ma non è stata una gara a chi conta di più. L’autorità del vescovo rimane inalterata, e però il suo servizio è messo in relazione col popolo di Dio, secondo la linea espressa dal Vaticano II. Papa Francesco, in apertura dei lavori, ha detto che si tratta «di esercitarci insieme in un’arte sinfonica, in una composizione che tutti accomuna nel servizio alla misericordia di Dio, secondo i differenti ministeri e carismi che il vescovo ha il compito di riconoscere e promuovere». E nel documento finale si pone in risalto il sensus fidei, ossia l’istinto che lo Spirito Santo dona a tutti i credenti per riconoscere la verità del Vangelo.
Aldilà delle decisioni concrete (mancate o rinviate) su singole questioni, a cominciare dal diaconato femminile fino all’autonomia delle singole Conferenze episcopali, la cosa probabilmente più importante che ha prodotto questo Sinodo è stata l’indicazione del metodo, che potremmo definire “orizzontale”: un sistema di confronto aperto e fraterno da replicare nei contesti particolari. Non per nulla l’immagine che resterà più impressa sarà la grande sala delle udienze trasformata in un mega-desk, con i tavoli tondi dove a piccoli gruppi si è riflettuto su come avanzare verso la vera comunione.
La parola chiave è armonia, che permette l’unità nelle differenze (Documento finale, n. l). Il misuratore della sinodalità non è l’unanimismo, né si avanza nella Chiesa a colpi di maggioranza e minoranza come in un parlamento. Le opinioni di ognuno formano uno spartito che l’orchestra, a costo di tante prove, deve saper eseguire, anche nei passaggi più difficili e delicati. Per usare un’altra metafora, la comunità ecclesiale va vista secondo nuove geometrie, passando dalla forma piramidale a quella sferica, anzi prismoidale. Il prisma è la figura preferita da Bergoglio, perché in essa le diversità di ciascuno non spariscono, ma divengono parte di un tutto.
Ritornando all’incipit e concludendo: la sinodalità, dopo essere stata definita, va adesso applicata. Non per eseguire un ordine, ma per gustarne la bellezza, per assaporare l’agape fraterna. C’è bisogno di una Chiesa che raccolga il grido del mondo, ha detto il papa nella messa conclusiva del Sinodo. Non una Chiesa seduta e rinunciataria, ma pronta a sporcarsi le mani per servire il Signore.