La rievocazione dell'arrivo a Tropea della sacra effigie bizantina fatta dal Beato in un numero di Parva Favilla del 1944
La “leggenda argentea” della Madonna di Romania di don Francesco Mottola (I parte)Aveva suscitato una grande emozione a Tropea la “Rievocazione dell’arrivo della sacra effige della Madonna di Romania” rappresentata pubblicamente e rivissuta dalla popolazione in occasione del Congresso Mariano Regionale, celebrato in città ai primi di settembre del 1938 con la partecipazione dell’intero Episcopato Calabro e presieduto dal vescovo Felice Cribellati. Dalla relazione giornalistica della manifestazione che ne fa lo stesso don Francesco Mottola si coglie l’entusiasmo incontenibile e spontaneo della gente, che partecipò fin dal mattino alla giornata rievocativa culminata con la processione oceanica che, partita dal porto dove l’effige della Madonna anticamente era stata accolta e nuovamente portata via mare dai marinai in un bregantino, si snodò come un pellegrinaggio d’amore verso la Cattedrale per concludersi con la solenne celebrazione della S. Messa celebrata da Mons. Cribellati con gli altri prelati e canonici.

E’ profondamente e intimamente sentito il racconto che ne fa don Mottola, che riassumiamo testualmente in poche battute: “Tropea si è svegliata all’alba del 3 settembre; ma alla Marina non si è dormito. I nostri marinai hanno voluto parare a festa tutte le loro imbarcazioni affinchè alla Madonna fosse fatta grande festa in quel che possono sembrare manifestazioni prettamente esteriori, ma per chi ha conoscenza dell’animo del popolo, per chi sa scrutare i sentimenti che lo animano, non possono non essere apprezzate che come espressioni possenti dell’intero sentire. All’ingresso della vecchia strada – quella per cui passerà la Madonna, che più tardi giungerà dal mare – v’è un grande arco di trionfo che è costato la paziente fatica di una schiera di donne e di marinai. Ovunque, poi, coperte seriche ricoprono intiere facciate e davanzali, decorazioni floreali, bandiere, pennoni: è un tripudio di colori. Ognuno a suo modo – e nel migliore dei modi – ha voluto onorare il passaggio della Vergine che ricalca come 11 secoli or sono, le strade della < sua > Tropea. […] Sovrastante la Marina, la città, a picco sul mare, presenta uno spettacolo incomparabile: è un immenso gran pavese innalzantesi dal mare e specchiantesi in esso. In questa cornice esteriore, nella grande piazza, s’è cominciata ad adunare la folla che verso le 9 era tanta da non poterla più contenere”.
Credo che questo basti per avere contezza del fermento popolare provocato da quella “rievocazione storica” e dell’anima appassionata con cui don Mottola ne ha ricostruito la cronaca, da vero innamorato della Vergine tropeana. Ma il nostro beato non si è limitato a questo perché non perdeva occasione per parlare della Madonna di Romania, la “cor cordium” (cuore dei cuori) di tutti i tropeani, come la definiva. (Cfr. Parva Favilla, n. 7, dicembre-gennaio 1939, p. 1).
È sintomatica quella che lui chiama la “Leggenda argentea della Madonna di Romania”, in cui ricostruisce e quasi personalizza la tradizione popolare che rievoca l’arrivo straordinario e miracoloso della sacra effige a Tropea, quale luogo privilegiato scelto dalla Madonna stessa per radicarsi tra quella gente prediletta. Potremmo dire che ha il valore di un racconto elevato ed identitario di memoria collettiva dell’intera Tropea. Il testo del racconto:

“S. Angelo era avvolto d’ombra, dopo il tramonto spentosi sulle Lipari, il monastero era quasi nascosto tra gli ulivi, i monaci pregavano, la preghiera del vespero. Un tonfo alla porta; un monaco apparve: era stanco per la ripida salita; aveva le palpebre profonde e buone.
«Che dici delle voci d’Oriente, Leone (l’imperatore) vuol proprio distruggere le immagini sante?». «Sì, purtroppo le voci sono vere, rispose: mi manda l’egumeno di S. Sergio, perché preghiate in comunione con noi e con tutte le laure sante e gli eremiti, sparsi sui greppi di questa nostra terra». «Sei dunque messaggero di preghiera urgente?».
I monaci gli si prostrarono ai piedi, come se fosse un angelo: poi in attesa triste, lo interrogavano ancora. «A S. Sergio, fuggendo da Bisanzio, son venuti due fratelli; l’Oriente è in fiamme, per la persecuzione di Leone, contro le immagini sante: ne sono fuggiti molti, non per paura, ma perché così ha comandato il Signore: la Romania è vuota di monaci!». « E le immagini della Tutta santa?». «Anche quelle sono distrutte. Ho lasciato a S. Sergio, Elia, uno dei fuggitivi di Bisanzio, tutto in pianto, per un’immagine di Maria che non ha potuto trasportare con sé e forse è andata distrutta: una Madonna bellissima, dipinta, dice Elia, dallo stesso S. Luca: ha gli occhi grandi e buoni, che fissano sempre. Quegli occhi Elia li ha nel cuore».
Quella notte i monaci di S. Angelo sognarono tutti la Madonna di S. Luca: che era d’una bellezza divina! Qualcuno, tra i più anziani, la sognò distrutta dal fuoco o ridotta a brani dagli Iconoclasti; qualche altro la vide con gli occhi possenti incenerire i fuochi dei sacrifici: altri la sognò in fuga tra i boschi ed i mari, ma d’averla sentita parlare la Madonna. Che diceva, non so, ma mi parve di capire che Maria voleva venire da noi.
Gli ulivi svettavano, ora, al vento leggero dell’alba; la piccola città, protesa sul mare s’era destata; i monaci pregavano la loro preghiera d’aurora, che porta il sole fulgente, come Maria aveva, dopo la notte, portato nel mondo Gesù.
«Maria voleva venire da noi»! La parola si ripetè nei conventi, e scese nella cittadina; la ripeterono, nelle notti i marinai gettando le reti alla pesca e scrutando il mare; la dissero le fedelissime di S. Domenica nelle catacombe sulle ossa dei martiri; penetrò nelle grotte dei solitari, divenne preghiera!
Ma passarono dei mesi, dall’Oriente venivano tristi notizie; a Tropea non si sperava quasi più. Soltanto il monaco giovinetto, all’aurora e al tramonto pregava, sperando ogni giorno; e attendeva scrutando l’orizzonte che la Tuttasanta venisse.
Ancora: nella casa di S. Domenica, posta sul porto d’Ercole, tra le palme che là soltanto maturano i datteri dolci, come nell’Africa, le fedelissime, progenie spirituale della martire, dicevano fortemente attendendo:<per il tuo puro sangue, per la tua verginità, o Ciriaca, dona a Tropea la madre».
Nell’aurora, un’aurora piena di rose e di miele, come le nostre aurore, il veliero si fermò di fronte ai nostri scogli, come in attesa. Da S. Sergio, da S. Angelo, i monaci avevano detto:<Iam lucis orto sidere> (ormai dopo che è sorta la luce del mattino), e attendevano e sentivano nell’anima come un divino presagio. La tempesta feroce ribolliva di spume quella parte del golfo, che s’addossa al Capo Vaticano: il mare, circondava gli scogli e percuoteva la rupe di Tropea. All’orizzonte il veliero! Fermo: i marinai se ne meravigliavano perché il vento di <terra> avrebbe dovuto aiutare, fin troppo, ma il veliero era stranamente immobile.
«Al remo!»: gridò il capitano. I marinai ubbidirono all’istante, ma il veliero fermo sul mare non si mosse. Fu issata un’altra vela; i marinai incurvarono il dorso nudo sui remi, ma il veliero non si muoveva. Sotto i cordami della stiva fonda, tra le mercanzie d’Oriente era l’immagine bruna della Madonna Santa. Tre volte fu portata sullo scoglio circondato allora tutto dal mare, e le offrirono la lauda d’una preghiera; tre volte fu riportata sulla nave; tre volte il navarca diede il via, ma la nave non si mosse. A Teodoro Vescovo era intanto, tra il buligginare dell’alba, apparsa la Madonna, quella bruna che aveva visto al Concilio di Nicea (quello del 787): sicchè ai marinai che salivano in fretta all’Episcopio, per annunziargli che la Madonna voleva venire a Tropea, rispose con tutta l’anima sì, e fece suonare le campane. Il popolo accorse alla marina e portò in trionfo la Madonna alla Cattolica.
Il monaco, non più giovinetto, sciolse i suoi voti alla Madonna e il popolo, e le fedelissime di S. Domenica, la chiamarono Mamma. Sul frontone della cupola i Tropeani, effigiarono la venuta della Madonna, e scrissero, col sangue e con l’anima: ogni bene venne a Tropea con Lei”. (cfr. Parva Favilla n. 2, aprile 1944, p. 3; anche Opera Omnia, Faville della Lampada, vol. II, 1994, n. 42, pp. 95-97 con note esplicative di d. Ignazio Schinella curatore del volume).
(*) Vescovo emerito Mileto-Nicotera-Tropea

