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L'intervento del Vicario Generale dell'Esarcato Apostolico per i fedeli cattolici ucraini di rito bizantino residenti in Italia, padre Teodosio Roman Hren OSBM, al convegno promosso dall' "Associazione Alexandra" il 3 luglio 2025 a Tropea

La cattolicità al servizio della pace

La posizione della Chiesa Greco-Cattolica Ucraina di fronte all’aggressione russa

  1. L’unità delle Chiesa Cattolica nella sua diversità tradizionale e rituale

La Chiesa Cattolica non si identifica con la Chiesa Romano-Cattolica. Essa si estende oltre la comunità dei fedeli di rito latino e comprende anche le varie realtà ecclesiastiche delle differenti tradizioni e dei diversi riti orientali. Cattolicità significa universalità, unità, comunione, pur non esigendo uguaglianza oppure uniformità. “L’universalità della Chiesa, da una parte, comporta la più solida unità e, dall’altra, una pluralità e una diversificazione, che non ostacolano l’unità, ma le conferiscono invece il carattere di comunione”. Con queste parole la Congregazione per la Dottrina della Fede si rivolge a tutti i Vescovi cattolici nel mondo, ricordando loro che la pluralità e la diversità non necessariamente si contrappongono all’unità: si può essere diversi ma uniti. 

Padre Teodosio Roman Hren, protosincello dell’Esarcato Apostolico con sede a Roma, per i fedeli cattolici ucraini di rito bizantino residenti in Italia

Il decreto del Concilio Vaticano II “Orientalium Ecclesiarum” (21.11.1964) sulle Chiese Orientali Cattoliche sottolinea che la Chiesa Cattolica supera i confini della Chiesa Latina ed include altre Chiese sui iuris, appartenenti ai riti orientali, ribadendo: “La Chiesa santa e cattolica, che è il corpo mistico di Cristo, si compone di fedeli che sono organicamente uniti nello Spirito Santo da una stessa fede, dagli stessi sacramenti e da uno stesso governo, e che unendosi in varie comunità stabili, congiunti dalla gerarchia, costituiscono le Chiese particolari o riti” (OE 2). Perciò, la Chiesa Cattolica composta sia dalla Chiesa Latina, che risulta ovviamente una parte più grande della comunità ecclesiastica universale (circa 98,6%), sia dalle 23 Chiese Orientali Cattoliche.

Inoltre, dalle parole sopracitate vengono evidenziati gli elementi canonici dell’unità ecclesiastica, che a sua volta può essere sia piena che non-piena (parziale). Ne consegue che, per avere una piena comunione tra le Chiese o comunità ecclesiastiche, deve sussistere un triplice legame, che consiste: 1) nella stessa fede cristiana, 2) negli stessi sette sacramenti, percepiti nello stesso modo; 3) nello stesso governo gerarchico, ovvero nella subordinazione al Romano Pontefice, come Successore di Pietro. 

Le Chiese Orientali Cattoliche sono in piena comunione con la Chiesa di Roma poiché vi si riscontrano tutti e tre requisiti sopracitati. Invece con le altre Chiese (si intendono le Chiese Orientali acattoliche, generalmente chiamate “Ortodosse”) o Comunità ecclesiastiche (nate dalla riforma protestante) tale comunione risulta non-piena: con le Chiese Ortodosse manca il terzo legame, cioè quello gerarchico, invece con le comunità ecclesiastiche protestanti la Chiesa Cattolica condivide soltanto uno dei tre punti d’incontro, cioè la stessa fede cristiana.

A questo punto possiamo ribadire che la Chiesa Universale si qualifica come una comunione delle Chiese sui iuris, cioè di quelle Chiese particolari di diritto proprio. Ciò, però, non significa che la Chiesa è una pura federazione delle Chiese sui iuris, autogestite in una piena e totale autonomia, oppure una somma di queste ultime. La piena comunione è una realtà molto più complessa. 

La diversità di ogni Chiesa sui iuris è ricchezza per la Chiesa Universale e, nello stesso tempo, testimonianza che la cattolicità non esige l’uguaglianza del rito e dei costumi. Purtroppo il modo di vivere questa legittima diversità delle Chiese Orientali Cattoliche quale l’arricchimento della Chiesa Universale non sempre è stato visto come un elemento positivo, ma a volte suscitava sentimenti di diffidenza tra le varie comunità cristiane, fino a diventare un vero e proprio ostacolo per l’armonia, la collaborazione ed anche per il movimento ecumenico, non dando, così, la possibilità di sviluppare le attività pastorali tra i fedeli e offrendo una cattiva testimonianza al mondo. 

2. Istituzione e breve storia della Chiesa Greco-Cattolica Ucraina

Le 23 Chiese Orientali Cattoliche si presentano oggi come: 6 Chiese Patriarcali dove Patriarca è Capo e Guida ma, comunque, l’organo legislativo sempre è il Sinodo dei Vescovi della rispettiva Chiesa; 4 Chiese Arcivescovili Maggiori, che assomigliano a quelle Patriarcali; 5 Chiese Metropolitane sui iuris dove Capo viene nominato dalla Sede Apostolica ma la comunità stessa gode di una certa autonomia, innanzitutto nel settore pastorale; e 8 altre Chiese sui iuris che dipendono direttamente della Sede Apostolica e sono normalmente composte solamente da una o due circoscrizioni ecclesiastiche. 

Una di queste 23 Chiese Orientali Cattoliche, sviluppatasi dalla tradizione bizantina, cioè tradizione greca, è la Chiesa bizantino-ucraina, ufficialmente nominata come Chiesa Greco-Cattolica Ucraina. 

Grazie all’attività missionaria dei secoli IX e X gli slavi della penisola balcanica meridionale, i bulgari e la popolazione dell’attuale Ucraina (già Rus’ di Kyiv, non confondere con Russia) si convertirono al cristianesimo, estendendo in questo modo il Patriarcato di Costantinopoli molto oltre i confini dell’Impero.

L’attuale popolo ucraino è discendente degli slavi orientali, il cui territorio per molti secoli fu oggetto di dispute tra i diversi stati limitrofi. Nel corso della storia gli ucraini subirono varie occupazioni, ma dopo la caduta dell’Unione Sovietica, dall’agosto 1991 essi finalmente godono di uno stato libero ed indipendente. 

Secondo la tradizione popolare (scientificamente non provata) già l’apostolo Andrea predicò nelle terre a nord del Mar Nero e, giunto sulle sponde del fiume Dnipro, benedisse la futura città di Kyiv. La presenza sporadica dei cristiani durante i primi secoli si nota sia in Krym (Crimea) sia in parte più al nord del paese. Già nel IX secolo in Kyiv fu fondata una Chiesa ed istituito un vescovado, che presto però venne sospeso. Ma nel X secolo il cristianesimo riuscì a imporsi. 

Gli storici ribadiscono che il cristianesimo della Rus’ di Kyiv trae le sue radici da Bisanzio (poi chiamata Costantinopoli), però nel periodo iniziale vi furono anche buone relazioni con la cristianità d’Occidente. La prima della dinastia regnante a ricevere il battesimo intorno al 957 fu santa Olha. Ella, battezzata dai greci, si rivolse però all’imperatore germanico Ottone I, chiedendo di mandare a Kyiv un vescovo e dei sacerdoti. La sua richiesta fu parzialmente accontentata, perché furono inviati alcuni missionari. Il nipote di Olha, Volodymyr il Grande, si convertì al cristianesimo e ricevette il battesimo non dai latini ma dai greci. 

Il Presidente dell’Associazione Alexandra, avv. Emanuele Giudice, e Padre Teodosio R. Hren

Dopo di che, intorno all’anno 986-988, Volodymyr il Grande fece ricevere il battesimo anche ai propri sudditi. Per questo gesto decisivo egli venne considerato come santo ed “uguale agli apostoli”. Dunque, è da notare, che la Rus’ di Kyiv fu battezzata ancora prima del grande scisma del 1054, perciò la nuova Chiesa di Kyiv fu inizialmente cattolica. 

Durante il governo del figlio di Volodymyr il Grande, chiamato Iarosval il Saggio (1015-1054), il cristianesimo si radicò fortemente a Kyiv e continuò a diffondersi in tutto il paese. Verso l’anno 1039 da Costantinopoli fu mandato il metropolita greco Teopempto. Alla sua morte (1050) il duca Iaroslav fece eleggere il primo metropolita slavo, desiderando in questo modo ottenere l’autonomia per la sua Chiesa. Un po’ più tardi, su richiesta del duca locale, Costantinopoli eresse una metropolia a Halyč, spesso chiamato Galizia, che perdurò dal 1303 al 1347 e poi dal 1371 al 1401. In quel tempo fu eretta anche un’altra metropolia di Volynia.

Le vicende politiche causarono tante perturbazioni anche nel Chiesa di Rus’: nel 1240 Kyiv fu presa e saccheggiata dai tartari, poi nel 1341 la Galizia fu conquistata dal re di Polonia Casimiro III. Nonostante ciò, la Chiesa di Kyiv si sviluppava e cresceva. 

Il metropolia di Kyiv Isidoro (1437-1458) partecipò al Concilio di Firenze e sottoscrisse l’atto di unione con la Chiesa di Roma. Tale unione fu accettata soltanto da una parte: accettata nel granducato di Lituania, ma respinta a Mosca, dove il metropolita Isidoro fu poi imprigionato. Dopo la morte di Isidoro, Papa Calisto III nominò come suo successore il monaco Gregorio, fedele all’unione. Egli fu accettato nella parte polacco-lituana del paese, ma categoricamente rifiutato dal granducato di Mosca, “i cui metropoliti appunto, a datare da quel momento, lasciarono il titolo di Kyiv ed assunsero quello di metropolita di Mosca e di tutta la Rus’. L’antica unica metropolia di Kyiv veniva così divisa in due”. 

La metropolia di Kyiv, quella nel regno polacco e nel granducato lituano, governata dal metropolita Gregorio e poi dai suoi successori, estesa anche sul territorio della metropolia di Galizia, cercò di rimanere fedele all’unione, ma a causa della profonda crisi interna della Chiesa di Kyiv i rapporti con la Chiesa cattolica de facto furono interrotti. 

Riunitisi in sinodo nella città di Brest, i vertici della Chiesa di Kyiv, spinti anche dalla nobiltà e dalla borghesia ucraina, che temevano la russificazione della nazione, presero la decisione di rompere le relazioni con il Patriarcato di Costantinopoli e di sottomettersi alla giurisdizione della Chiesa di Roma, purché venisse loro riconosciuto il diritto di essere governati da una propria gerarchia con una speciale disciplina e di mantenere il patrimonio liturgico e spirituale orientale. Fu così che tra la fine del 1595 e l’inizio del 1596 venne decisa e ratificata la cosiddetta “Unione di Brest””.

Nella bolla pontificia Magnus Dominus et laudabilis, pubblicata il 23 dicembre 1595, si annunciò che con l’unione di Brest la Chiesa di Kyiv era ritornata alla piena unità con il successore di Pietro. A causa della forte opposizione della parte della nobiltà e dei Patriarcati di Costantinopoli e di Mosca, tale unione non fu accettata da tutto il clero e da tutti i fedeli. Si giunse ad una divisione e così nacquero due Chiese separate: la Chiesa greco-cattolica ucraina e la Chiesa ortodossa ucraina. Da quel momento la Chiesa cattolica ucraina rimane sempre in piena ed ininterrotta comunione con la Chiesa di Roma, anche se non mancarono momenti di grande difficoltà e turbamenti.

Bisogna ricordare anche un periodo della grande persecuzione del clero e dei fedeli della Chiesa greco-cattolica ucraina per la fede e per la fedeltà al Romano Pontefice del XX secolo. Durante il pseudo-sinodo, tenutosi dall’8 al 10 marzo 1948 a Lviv, città principale della regione della Galizia, la Chiesa greco-cattolica ucraina fu formalmente liquidata sul territorio dell’Unione Sovietica: illegittimamente abrogata la sua unione con Roma e forzatamente fu assoggettata all’obbedienza al Patriarcato di Mosca. Da quel momento la Chiesa cattolica ucraina cominciò una vita clandestina, subendo una feroce persecuzione, che perdurò fino alla caduta dell’Unione Sovietica nel 1989.

In particolare, per “attività controrivoluzionaria” e “tradimento della Patria” furono condannati: il Patriarca Josyf Slipyi a otto anni di campi di lavoro e tre anni di privazione dei diritti civili; nonché sono stati condannati o uccisi dal regime del tempo tanti vescovi ucraini: Nykyta Budka, Mykolai Chernetskyi, Ivan Lyatyshevskyi, Hryhoriy Khomyshyn, Josafat Kotsylovskyi, Hryhoriy Lakota e altri.

Sebbene la struttura “visibile” della Chiesa greco-cattolica ucraina fosse stata distrutta dall’arresto del vescovato, la Chiesa riuscì a mantenere la continuità del ministero vescovile malgrado la persecuzione e la condizione di clandestinità nel profondo sottosuolo. Le consacrazioni episcopali venivano eseguite segretamente dai vescovi sotterranei, di solito nelle case private e di notte. Dal 1945 al 1989, 15 vescovi sotterranei ricevettero segretamente la consacrazione.

A destra al tavolo della presidenza (di profilo). il Priore della Congrega dei Bianchi di San Nicola, avv. Giuseppe Maria Romano, che ha ospitato il convegno nella Cappella dei Nobili di Tropea.

Solo negli anni 1945-1946, oltre 800 pastori greco-cattolici furono arrestati dalle autorità di sicurezza dello stato e condannati a scontare una pena compresa tra i 10 e i 25 anni. 

Lo stato ateo non riuscì, tuttavia, a spezzare lo spirito di resistenza. Nonostante le intollerabili condizioni fisiche e morali dei campi sovietici e le difficili condizioni della vita in esilio, il clero greco-cattolico sfruttò ogni opportunità per adempiere alla propria vocazione pastorale. I servizi religiosi si tenevano nei luoghi di detenzione e negli insediamenti, venivano offerti servizi di preghiera e si amministravano i sacramenti. I sacerdoti battezzavano i bambini, celebravano matrimoni, e non solo per fedeli ucraini. Nei campi si tennero anche ordinazioni sacerdotali.

Nel tempo della clandestinità della Chiesa Greco-Cattolica Ucraina, che non ha voluto sottomettersi al regime e diventare lo strumento dello stato, come la Chiesa Ortodossa del tempo, i laici diedero un grande sostegno al clero. Le loro case divennero spesso i luoghi in cui si svolgevano il culto e le celebrazioni liturgiche. I fedeli laici si presero cura dell’educazione cristiana dei bambini, producendo e conservando gli oggetti liturgici. Curavano i templi chiusi, accompagnavano e custodivano i loro pastori, cercavano i sacerdoti per le persone bisognose di confessione o desiderose di ricevere la Santa Comunione, e quindi divennero i fermi sostenitori della Chiesa.

Uno dei compiti più importanti del governo ecclesiale della Chiesa sotterranea è stata la selezione, la formazione e la consacrazione dei candidati al sacerdozio. A tal fine, fu organizzato un seminario segreto in cui venne educata una nuova generazione di sacerdoti, garantendo così alla Chiesa la continuità del ministero pastorale. La formazione durava a lungo. Uno o più candidati venivano assegnati a un sacerdote dalla formazione solida, il quale forniva loro i libri di testo, traduzioni dal latino e dalle altre lingue. 

In questo modo, Dio aveva aiutato alla comunità greco-cattolica ucraina ad attraversate il deserto della clandestinità e persecuzione. Con la caduta del comunismo e della Unione Sovietica nell’agosto 1991 anche la Chiesa Ucraina acquista la propria libertà e possibilità di rigenerarsi. Perciò, attualmente la Chiesa greco-cattolica ucraina, erede della tradizione bizantina, guidata dal marzo 2011 dall’Arcivescovo Maggiore Sviatoslav Shevchuk, sostenuto da 55 vescovi, è composta da circa 4.500.000 fedeli in 35 circoscrizioni ecclesiastiche (cioè Eparchie e Esarcati).

3. La posizione della Chiesa Greco-Cattolica Ucraina di fronte all’aggressione russa

Per chiarire le cose e rendere la voce della Chiesa bizantino-ucraina unanime a quella del mondo cristiano, i membri del Sinodo dei Vescovi, che è un organo governativo e legislativo della Chiesa ucraina, il 14 febbraio 2024 hanno pubblicato il Messaggio intitolato “LIBERATE L’OPPRESSO DALLE MANI DELL’OPPRESSORE” (Ger. 22,3).

Il documento si presente diviso in 6 parti, abbracciati dall’introduzione e dalla conclusione, e raggruppa 67 punti. Il titolo del messaggio, tratto dal libro del profeta Geremia, richiama la giustizia come fondamento della vita sociale e spirituale. Il profeta denuncia i governanti che opprimono il popolo e invita a liberare i deboli dalle mani di chi li calpesta. In modo analogo, i Vescovi della Chiesa Greco-Cattolica Ucraina si fanno eco di questa chiamata, affermando che oggi l’Ucraina si trova nella posizione dell’oppresso, mentre l’aggressore incarna l’ingiustizia condannata da Dio.

Il messaggio nasce dall’urgenza di rispondere, come pastori, alle sofferenze del popolo ucraino e di chiarire la posizione della Chiesa davanti alle sfide morali poste dalla guerra. I Vescovi si rivolgono non solo ai fedeli, ma anche al mondo intero, affinché la verità sulla guerra non venga oscurata dalla propaganda e l’opinione pubblica internazionale non cada nell’indifferenza.

Essi sottolineano come il conflitto non sia un semplice scontro politico o territoriale, ma una lotta tra verità e menzogna, tra giustizia e sopruso. La Chiesa sia quella Universale che quella locale, secondo il messaggio, non può restare neutrale quando la dignità umana e la vita stessa sono minacciate: essa deve annunciare il Vangelo della pace, ma anche difendere il diritto dei popoli a vivere liberi.

Nella parte introduttiva i Vescovi ucraini sottolineano che la guerra in Ucraina dura ormai da più di 10 anni, cioè dal 2014, invece dal 24 febbraio 2022 la guerra si è estesa su tutto il territorio nazionale. Da quel tragico giorno, purtroppo, ogni giorno riceviamo notizie tragiche sulla morte degli ucraini; molti hanno già perso familiari e amici; assistiamo alla distruzione di ciò che è più caro al popolo ucraino: la Patria, il benessere della famiglia ucraina, la felicità del popolo, i sogni di tanti giovani e bambini. In queste circostanze, è assai comprensibile la tendenza della persona ad arrendersi completamente alle emozioni: cedere alla desolazione e nella disperazione, o permettere all’odio di regnare nell’anima. Questi sentimenti, disperazione e odio, ci rendono schiavi e feriscono la nostra dignità, che ci è stata donata dal Creatore. … Allo stesso tempo, una parte della società sta diventando indifferente: alcune persone, colpite dalla guerra, forse meno di tante altre, cercano di ignorarla, quasi dimenticandosene. Dietro una tale posizione può nascondersi sia un meccanismo psicologico di autodifesa sia una malattia morale di indifferenza.

La guerra della Russia contro l’Ucraina pone la millenaria tradizione cristiana della comprensione della pace e della guerra di fronte a un nuovo insieme di sfide e problemi. A livello internazionale vediamo il sostegno al nostro Stato, ma allo stesso tempo ci imbattiamo nella mancanza di comprensione di tutta la profondità e della gravità degli eventi, con speranze di una facile risoluzione del conflitto. A volte sentiamo appelli troppo affrettati alla “pace”, che purtroppo non sempre vengono collegati alla legittima richiesta di giustizia. 

Primo a destra, don Ignazio Toraldo di Francia, introduce il tema del convegno.

Dopo aver spiegato dettagliatamente nella prima parte del messaggio le cause e gli origini della moderna guerra russa contro l’Ucraina, che traggono le sue radici dal totalitarismo comunista del XX secolo, i Prelati bizantino-ucraini passano al secondo tema che, a mio parere, è fondamentale per la società europea occidentale, cioè al tema del “mondo russo” (“russkiy mir”). 

I Vescovi ucraini sottolineano che oggi in Russia, l’Ortodossia nella sua forma moscovita sta cercando di colmare il vuoto ideologico che è sorto a seguito della caduta del comunismo, considerando la religione come uno strumento per rafforzare il potere statale e trasformandola in uno strumento politico. La Chiesa ortodossa russa ha una multisecolare tradizione di servizio al governo russo nelle sue varie forme storiche, a volte contraddittorie, dal periodo ortodosso del Regno di Mosca e l’Impero russo fino all’Unione Sovietica atea e comunista. 

In tutte queste formazioni statali, la leadership della Chiesa ortodossa russa ha cercato di essere in unità con il potere politico e di godere di uno status privilegiato. Non dovrebbe, quindi, sorprendere che il Patriarca di Mosca abbia sostenuto e benedetto la guerra criminale della Russia contro il popolo ucraino. Tali azioni corrispondono alla tradizione moscovita di servire ideologicamente il potere da parte della Chiesa e al suo servilismo nei confronti di chi detiene il potere. Sfortunatamente, adesso questa antica tradizione imperiale, combinata con il totalitarismo post-comunista contemporaneo, ha portato a un vero crimine commesso dalla leadership del Patriarcato di Mosca: la propaganda della guerra. 

Proprio questa leadership ecclesiastica che ha generato la nuova ideologia genocida, oggi conosciuta come “mondo russo” (o “russkij mir”), offrendo volontariamente i suoi servigi al potere criminale e santificandolo. Con grande dolore osserviamo questo profondo declino morale del Patriarca di Mosca e dei suoi seguaci religiosi, poiché esso compromette il cristianesimo in quanto tale e mina la fiducia dei nostri contemporanei nella Chiesa e in tutti coloro che si avvalgono del nome di Cristo. Per questo, diventa oggi particolarmente urgente per tutti la necessità di distinguere tra l’ideologia politica, nascosta dietro una retorica pseudo-cristiana, e la vera fede in Cristo.

La società ucraina, per molti anni, ha cercato di trasmettere alla comunità internazionale il fatto che in Russia stia emergendo una nuova ideologia aggressiva, che è una mescolanza di risentimento, nazionalismo e messianismo pseudo-religioso. Tuttavia, durante tutto il periodo precedente alla guerra, nessuno ci ha ascoltato. Questa ideologia, che il governo russo ha denominato “mondo russo” (“russkiy mir”), si è concretizzata in Russia come ufficiale e l’unica corretta, mentre il ruolo del Patriarcato di Mosca nella creazione e diffusione di questa ideologia è ormai ben noto e indiscutibile. É proprio la Chiesa Ortodossa Russa a conferire all’ideologia del “mondo russo” uno spirito quasi religioso, raffigurando la Russia come l’ultimo baluardo del cristianesimo sulla terra, che si oppone alle forze del male. Allo stesso tempo, la Chiesa Ortodossa Russa all’arma nucleare più letale sulla terra attribuisce uno status quasi sacrale.

Per i cristiani di tutto il mondo è importante che la dottrina del ‘mondo russo’ (‘russkiy mir’) sia stata condannata da numerosi rappresentanti della stessa comunità ortodossa. In particolare, un gruppo di quasi 350 teologi ortodossi da tutto il mondo l’ha definita un’eresia e ‘un vile insegnamento privo di giustificazione’. Secondo il pensiero di questi teologi, alla base dell’ideologia del ‘mondo russo’ vi è la falsa dottrina dell’etnofiletismo. Questi ultimi, inoltre biasimano ‘tutti coloro che affermano il cesaropapismo, sostituendo la loro completa obbedienza al Signore crocifisso e risorto con quella di qualsiasi leader investito di potere di governo e che pretende di essere l’unto di Dio, indipendentemente dal titolo con cui è conosciuto: ‘Cesare’. ‘Imperatore’, ‘Zar’ o ‘Presidente’’. E, come riassumono i teologi sopra menzionati, ‘se si dovessero ritenere validi questi falsi principi, allora la Chiesa ortodossa cesserebbe di essere la Chiesa del Vangelo di Gesù Cristo, degli Apostoli, del Credo niceno-costantinopolitano, dei Concili ecumenici e dei Padri della Chiesa. L’unità diventerebbe intrinsecamente impossibile’.

La giornalista Nataliya Kudrik (seconda da sinistra) è intervenuta sul tema “La Chiesa Greco Cattolica Ucraina da Stalin a Putin”.

Inoltre, i Vescovi ucraini ricordano anche che nell’Appello delle Chiese cristiane dell’Ucraina riguardo alla condanna dell’ideologia aggressiva del ‘mondo russo’ (‘russkiy mir’) si osserva, che ‘il Patriarca della Chiesa ortodossa russa Kirill Gundyayev e la Chiesa ortodossa russa sono stati e rimangono uno dei principali artefici e propagandisti dell’ideologia del ‘mondo russo’, che prevede l’eccezionalità della ‘civilizzazione russa’ e il suo isolamento e antagonismo nei confronti degli altri. … Questa ideologia rappresenta oggi una sfida alla predicazione del Vangelo nel mondo contemporaneo e distrugge la credibilità della testimonianza cristiana, indipendentemente dalla confessione’ [5].

Tale degenerazione della natura cristiana della Chiesa ortodossa russa ha messo in luce le grandi debolezze del dialogo ecumenico fino ad ora. I suoi partecipanti, pur avendo la buona volontà e intenzioni, sono rimasti sordi agli avvertimenti che il Patriarcato di Mosca, come ai tempi dell’URSS, sta strumentalizzando soltanto questo dialogo. Alla fine, siamo arrivati ​​a un punto in cui questa strumentalizzazione è diventata evidente e la formula quasi-ideologica del ‘dialogo a tutti i costi’ è contraddittoria con il principio evangelico del ‘dialogo nella verità’.

Oggi il mondo ha bisogno proprio della voce profetica della Chiesa, che parlerà con la lingua della giustizia, si schiererà dalla parte degli oppressi e farà vergognare e condannerà l’oppressore.

Le sfide attuali, che vengono create dalla dottrina del ‘mondo russo’ e le inclinazioni verso il relativismo, portano nella comunità umana una grande confusione spirituale e nella concezione del mondo, a causa della quale molte persone e persino singoli governi perdono la capacità di distinguere tra verità e menzogna, tra il bene e il male. La tragedia della guerra attuale risiede nel fatto che viene minacciata la credibilità del linguaggio stesso dei valori spirituali, perché la Russia e altri regimi autoritari usano questo linguaggio per inclinare i cuori delle persone verso un terribile peccato. 

Proseguendo i Pastori ucraini dedicano una parte del messaggio al tema della “Resistenza nonviolenta. Guardando l’esempio di Cristo e seguendo gli insegnamenti dei suoi discepoli e apostoli, molti dei primi cristiani sceglievano il cammino spirituale che oggi viene descritto come resistenza nonviolenta. Erano convinti che l’esempio di perdono e di misericordia di Gesù, il suo rifiuto di difendere la propria vita con la violenza fisica, fosse una chiamata etica che escludeva un discepolato che avrebbe acconsentito allo spargimento di sangue. Proprio questa fu la via che seguirono gli antichi principi di Kyiv, Borys e Hlib, che rifiutarono di partecipare nella lotta dinastica e difendere se stessi con mezzi violenti (cfr. Mt 26,52). Per questa impresa spirituale, la Chiesa di Kyiv li ha proclamati tra i primi santi della terra di Kyiv. Nel corso della storia, questa forma di resistenza all’aggressione ha assunto varie forme e implementazioni pratiche. 

La tradizione di resistenza nonviolenta menzionata è diventata una parte importante dell’esperienza spirituale dell’umanità, tuttavia non può essere considerata l’unica dotata di legittimità evangelica. Sant’Agostino giustamente osservava: “Se la dottrina cristiana definisse tutte le guerre come un peccato, allora ai soldati che chiedevano consiglio su come salvare la propria anima, nel Vangelo sarebbe stata data la risposta di deporre le armi e sottrarsi agli obblighi del servizio militare. Invece è stato detto loro di non maltrattare e non estorcere niente e di accontentarsi delle loro paghe (cfr. Lc 3,14)”. In altre parole, il servizio militare dovrebbe essere un servizio di pace e giustizia per il bene comune.

Il Vangelo è pacifico e pacificatore, ma non pacifista (nel senso moderno del termine). Non annulla il dovere dello Stato di proteggere la vita e la libertà dei suoi cittadini. La persona ha diritto a un giusto processo, all’autodifesa, all’inviolabilità della propria salute e della propria vita, quindi il compito dello Stato è garantire tutte le condizioni per l’attuazione di questi diritti. Pertanto, Dio ha conferito allo Stato il potere di fermare la violenza, proteggere gli innocenti, mantenere la pace e consegnare i criminali alla giustizia. Per questo esistono le strutture di potere e le forze armate. È necessario distinguere tra forza e violenza, perché non tutti gli usi della forza sono violenza. 

Padre Teodosio R. Hren mentre svolge il suo intervento a Tropea, e don Ignazio Toraldo di Francia.

È estremamente importante comprendere contestualmente e correttamente le parole di Gesù sul porgere l’altra guancia (Mt 5,39) e sull’amore per i nemici (Mt 5,44). Possiamo perdonare le offese personali, ma non abbiamo il diritto di rimanere in silenzio quando assistiamo alla violenza rivolta contro altre persone. Per di più, ci sono prove nelle Scritture che l’oppresso non rimase in silenzio a causa della violenza contro di sé. Così, diceva Gesù: ‘Perché mi percuoti?’ (Gv 18, 23), mentre san Paolo avvertiva il suo oppressore: ‘Dio percuoterà te, muro imbiancato!’ (At 23, 3). Perdonare, quindi, non significa tacita approvazione delle azioni dell’offensore e sottomissione al male, ma piuttosto il loro superamento con la forza di Cristo. Questo mostra soltanto che il cristiano affida a Dio il ripristino della giustizia, perché ‘Spetta a me fare giustizia, io darò a ciascuno il suo, dice il Signore’ (Rm 12,19)

I pacifisti contemporanei, ignorando completamente i fondamenti evangelici dell’oggettività della Verità, spesso vedono la pace come il frutto della pacificazione del male o del compromesso con esso. Tuttavia, nel 1979 in Irlanda, Santo Papa Giovanni Paolo II affermava che la pace è il risultato dell’osservanza dei ‘principi etici’ [11]. Ciò corrisponde pienamente alla tradizione profetica: ‘Praticare la giustizia darà pace, onorare la giustizia darà tranquillità e sicurezza per sempre’ (Is 32, 17). Nel 1981, il medesimo Papa espresse la convinzione che ‘le guerre insorgono a seguito di invasioni o come risultato dell’imperialismo ideologico, dello sfruttamento e di altre forme di ingiustizia’.

Al fine di raggiungere una pace apparente, i pacifisti sono spesso pronti, consciamente o inconsciamente, esentare i trasgressori della pace dalla loro responsabilità. Le argomentazioni possono essere diverse e, talvolta, anche altamente morali, come ad esempio il desiderio di evitare ulteriori vittime umane. Proprio questa argomentazione risuona spesso nel contesto dell’aggressione su larga scala della Russia contro l’Ucraina. Le parole dell’apostolo Paolo dovrebbero essere un monito per i creatori di una pace ingannevole: ‘E quando la gente dirа: ‘C’è pace e sicurezza!’, allora d’improvviso la rovina li colpirà…’ (1 Ts 5,3). Perché l’aggressore giunge alla conclusione che la sua violenza diventa un suo diritto legittimo e cerca in tutti i modi di ottenere il riconoscimento di questo ‘diritto al crimine’ sotto forma di legittimazione degli interessi geopolitici e della loro giustificazione. 

La mancanza di un’adeguata condanna e reazione a tali atti da parte della comunità internazionale e dei leader ecclesiastici crea l’illusione del successo di un simile modello di comportamento dell’intero Stato. La forza del diritto internazionale viene sostituita dalla cieca legge del più forte. Invece del rispetto della dignità e dell’inviolabilità della sovranità dei soggetti di diritto internazionale, si affermano i ‘diritti’ esclusivi e speciali delle moderne potenze mondiali, che si presentano nelle relazioni internazionali come coloro che possono avere il diritto di ‘patronato’ sugli altri stati sovrani o dichiarare direttamente la perdita di diritto all’esistenza di un determinato stato e di qualche popolazione. In questo modo viene minata la fiducia nel diritto internazionale e di qualsiasi accordo di pace internazionale, che si basa su di esso. 

La cooperazione internazionale e la fiducia reciproca viene meno, il mondo comincia ad armarsi e sprofonda sempre più in un’atmosfera di paura, minacce reciproche e ultimatum. Di fatto, l’aggressore si sente ancora una volta impunito e gioca su questa paura. Pertanto, l’esperienza dell’attuale aggressione da parte della Russia dimostra che: privi dei principi, gli slogan di pacificazione, proclamati da alcuni pacifisti, incoraggiano l’aggressore alla continua violenza. 

Rispettare i Dieci Comandamenti è un prerequisito necessario per una società giusta, mentre la guerra è una brutale violazione dei Comandamenti di Dio. Come viene evidenziato nella Costituzione ‘Gaudium et Spes’, ‘ogni atto di guerra, che mira indiscriminatamente alla distruzione di intere città o di vaste regioni e dei loro abitanti, è delitto contro Dio e contro la stessa umanità ed è un crimine che va condannato con fermezza e senza esitazione’. Può la comunità umana lasciare senza condanna e responsabilità il genocidio degli ucraini, compiuto dall’esercito russo a Bucha, Borodyanka, Irpin, Mariupol e in molti altri territori occupati dell’Ucraina? Chi difenderà le vittime e le loro famiglie? L’attuale appello degli ucraini alla comunità internazionale per il ripristino della giustizia è pienamente sostenuto dalla Chiesa, poiché ha sempre fatto e fa una scelta a favore degli oppressi. 

In seguito i membri del Sinodo dei Vescovi della Chiesa Ucraina passano a trattare il tema della “guerra difensiva e legittima difesa”.

Sin dai tempi di sant’Ambrogio di Milano (340–397) e di sant’Agostino (354–430), considerando le reali circostanze del mondo peccaminoso in cui viviamo, la Chiesa si è fatta guidare dalla regola, conosciuta oggi come teoria della guerra giusta. Questo approccio escludeva qualsiasi aggressione non provocata e qualsiasi uso immotivato della forza e conteneva anche le regole di conduzione della guerra.

Oggi la Chiesa cattolica insegna che la legittima difesa armata contro un aggressore ingiusto, come la guerra in generale, è sempre l’estrema e ultima risorsa a cui può ricorrere una parte esposta al pericolo. Il Catechismo della Chiesa Cattolica delinea gli elementi di una giusta guerra difensiva: ‘È necessario definire con attenzione le esatte condizioni della legittima difesa con l’ausilio della forza militare. La gravità di tale decisione la sottopone a rigorose condizioni di legalità morale. Per fare questo occorre contemporaneamente che: il danno causato dall’aggressore alla nazione o alla comunità delle nazioni sia durevole, grave e certo; che tutti gli altri mezzi per porvi fine si siano rivelati impraticabili o inefficaci; che ci siano fondate condizioni di successo; che il ricorso alle armi non provochi mali e disordini più gravi del male da eliminare’.

Dunque, alla luce dell’insegnamento della Chiesa cattolica, le Forze di sicurezza e di difesa dell’Ucraina esercitano la legittima difesa legale dello Stato e del popolo. Oggi, non mancano prove che la Russia non era in alcun modo disposta a risolvere le sue controversie con l’Ucraina al tavolo dei negoziati come con un partner paritario, che gode la propria indipendenza e autonomia. Il paese aggressore respinge il diritto stesso all’esistenza del popolo ucraino e del suo stato come soggetto di diritto internazionale, rifiutando la possibilità di dialogo e di accordi con l’Ucraina indipendente. 

È impossibile ‘dialogare con qualcuno che non esiste’, ripete costantemente la propaganda russa. Secondo la più recente ideologia russa, la ‘questione ucraina’ deve essere risolta una volta per tutte attraverso la completa distruzione di tutto ciò che è ucraino. Incominciando dal 2014, la Russia ha compiuto atti di aggressione non provocati contro l’Ucraina, prima occupando la penisola di Crimea, e poi dando via a una guerra per procura nel Donbas. Nel 2022, ha compiuto un’invasione su larga scala e, utilizzando un’ampia gamma di armi, distrugge senza pietà le infrastrutture civili, terrorizza e uccide i civili. L’esercito ucraino si oppone ad una macchina militare estremamente potente, che utilizza l’intera gamma di armi avanzate e, che in aggiunta, minaccia periodicamente di lanciare un attacco nucleare contro un paese non-nucleare, di cui ha garantito la sicurezza e l’integrità territoriale firmando il Memorandum di Budapest nel 1994.

In tempo di guerra, la neutralità deve essere affrontata con una profonda comprensione degli aspetti etici e morali. Potrebbe esserci un legittimo desiderio di prevenire ulteriori spargimenti di sangue o di facilitare una soluzione diplomatica del conflitto. Tuttavia, la neutralità non dovrebbe estendersi al punto da diventare un’approvazione passiva dell’ingiustizia e del crimine, poiché esiste un imperativo morale di resistere all’aggressione ingiusta contro qualsiasi paese e di difendere i valori su cui si basa la comunità internazionale. Le lezioni della storia, su cui poneva l’accento Papa Pio XII, ci ricordano duramente che l’indifferenza verso gli atti di aggressione può avere conseguenze di vasta portata. Le nazioni sono obbligate a valutare i limiti della loro neutralità politica, che non può diventare morale, altrimenti si trasformerà in un tradimento di valori e principi fondamentali. In momenti così critici, la comunità internazionale deve superare la semplice indifferenza e lavorare attivamente per la giustizia, la pace e la preservazione della dignità umana.

L’aggressione russa contro l’Ucraina non è una lotta per il territorio conteso: è un attacco al diritto internazionale e un crimine contro la pace. Il perseguire l’apparente neutralità in una situazione del genere è un tradimento dei valori del rispetto del diritto internazionale, della giustizia e della dignità umana. È una posizione basata sugli interessi piuttosto che sui principi.

Rivolgendoci con il proprio messaggio a tutte le persone di buona volontà, i vescovi ucraini hanno voluto nell’ultima parte del messaggio mettere in rilievo che è nostro dovere cristiano e civico proteggere la vita del nostro prossimo, soprattutto dei bambini, delle donne e degli anziani, nel modo più coraggioso e radicale, prendendo in mano le armi, pronti a sacrificare la propria vita per questo, come insegnava Gesù: ‘Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici’ (Gv 15,13). Ci siamo trovati in una situazione in cui dobbiamo difendere le persone dai disumani. Nell’etica cristiana, la pace giusta significa molto più della semplice vittoria sull’aggressione. 

Gli ucraini, naturalmente, desiderano che la guerra termini il prima possibile e che arrivi la pace tanto attesa. Per raggiungere una pace giusta in Ucraina, le Chiese cristiane, le organizzazioni internazionali e le istituzioni politiche dovrebbero sforzarsi a condurre una retorica estremamente chiara di condanna dell’aggressione militare e degli atti di genocidio della Russia contro l’Ucraina, nonché realizzare il perseguimento penale dei criminali di guerra. Il male impunito continua a causare ancora più danni.

Le numerose vittime che la Russia ha causato in Ucraina nel corso della storia, in particolare nel XX secolo, così come dopo l’invasione su larga scala del 24 febbraio 2022, dovrebbero essere al centro dell’attenzione della comunità mondiale, al fine di dare una corretta valutazione di questi reati continui. L’aggressione russa in Ucraina ha costretto il mondo a vivere nuove esperienze e nuovi traumi, simili a quelli patiti dall’umanità durante la Seconda guerra mondiale. Le terribili conseguenze di questa invasione russa devono essere superate ora e prese in considerazione mentre si lavora per rafforzare l’architettura di sicurezza dell’Ucraina e del mondo. 

Conclusione

Come dovrebbero agire i cristiani in tutto il mondo oggi? Prima di tutto, è necessario rendersi conto della globalità della minaccia attuale e affermare e sviluppare la forza del diritto internazionale giusto. È erronea la convinzione di una parte della società internazionale che questa guerra sia semplicemente un conflitto locale tra due popoli e che, quindi, risolvendo le loro divergenze, si possa tornare alla consueta comodità. Oggi sono minacciate tutte le fondamenta della civiltà umana.

Iniziando una guerra ibrida contro l’Ucraina, la Russia ha sfidato, in verità, tutto il mondo civilizzato. Lo ha sconvolto così tanto che molte persone hanno smesso di distinguere verità e menzogna, e di conseguenza anche bene e male.

Attualmente, molti cristiani appartenenti alla generazione postmoderna del mondo occidentale, semplicemente non vedono il genocidio del popolo ucraino e non sentono le grida delle vittime, ma, per non perdere la facciata, continuano a esprimere la propria preoccupazione e profondo turbamento.

Tutto questo può essere superato solo con una chiara e inequivocabile proclamazione della Verità evangelica. Se l’umanità contemporanea, l’umanità dell’ ‘epoca della post-verità’, non riconosce la verità oggettiva, finirà per trasformarsi gradualmente in un ‘mondo della post-giustizia’. 

Il Signore desidera che i suoi discepoli siano ora come all’inizio del cristianesimo, coraggiosi nell’aderire alla verità; che non chiudano gli occhi di fronte all’orribile ingiustizia, cercando di ottenere guadagni economici e assicurarsi tranquillità.