Celebrato dal vescovo Attilio Nostro a Tropea il 31esimo anniversario della morte della Serva di Dio
Irma Scrugli, profumo di vita eternaTrentun anni: tanto è passato. Ricordo quel 22 settembre, quando appresi la notizia della dipartita della signorina Irma. Ero in Basilicata, per un impegno di lavoro. Pensai d’inviare un telegramma di condoglianze, mi affrettai con l’automobile, invano: le Poste di Maratea avevano appena chiuso. Ma a chi avrei indirizzato quel telegramma – penso adesso – se, in fondo, già allora mi sentivo parte della famiglia di donna Irma? Certo, ai suoi familiari di sangue. Oppure, a quelli della Famiglia Oblata. Forse ad entrambi.

Intanto quel vincolo, che parte da don Mottola e conduce a Dio, si è rafforzato, mentre continuo a vedere tante e tante volte il sorriso di donna Irma, riflesso sul volto di chi l’ha avuta come zia e di chi l’ha scelta come madre. Quel telegramma sarebbe servito a poco. Ci sono anch’io (Deo gratias) nella Concattedrale di Tropea a ricordare, trentun anni dopo, il transito in Cielo della “santa Chiara di Tropea” che è Serva di Dio, mentre il suo processo di beatificazione, superata la fase diocesana, è approdato in Vaticano.
Il vescovo Attilio Nostro presiede l’Eucarestia. Quella famiglia è cresciuta. La Chiesa è colma di fedeli, davanti l’effigie della Madonna di Romania, ancora davanti l’ambone, a due settimane dalla festa. Le Oblate del Sacro Cuore, i sacerdoti Oblati, noi Oblati laici. Gli anziani della casa Anno Domini 2000 di Ricadi, col personale in divisa da lavoro, occupano diversi banchi. Tanta, tanta gente. Attratta da un profumo.
“Il Signore Gesù ci esorta – spiega il vescovo nell’omelia – : attenti a come ascoltate la Parola, a come l’accogliete; attenti a prendervene cura, a conservarla, ad alimentarla, perché se non lo farete, perderete la ricchezza più grande che avete”.

Pensate a quello che ci dice il salmo – aggiunge mons. Nostro -, ci paragona al seminatore che getta il seme e nell’andare se ne va piangendo, ma nel tornare viene con gioia, trascinando dietro di sé i suoi covoni.
Amare è un rischio, un azzardo: amare è andare al di sopra delle proprie capacità. Noi vogliamo stare sempre stare nella nostra comfort zone – argomenta il presule – vogliamo cioè che la gente non ci chieda più di quello che siamo disposti a dare. Ma molte volte l’amore ci chiede molto, molto di più: ci richiede addirittura la vita. Il seminatore sta facendo suo quel rischio, ma nel tornare torna con gioia, torna coi covoni che contengono cento volte più di quanto ha seminato.
Allora ecco cosa chiedere al Signore, che è poi il dono che ha squarciato il cuore di Irma: entra con la tua Parola nel mio cuore! E fai che io non viva per i miei pensieri, o le mie aspettative, i miei progetti, ma che il mio cuore diventi adulto e inizi a vivere secondo le Tue aspettative, i Tuoi sogni, i Tuoi progetti. Quella si che è vita, perché significa seminare il seme buono nella terra e raccogliere frutti. Frutti che dureranno per la vita eterna.
Noi siamo ancora qui a ricordare Irma – conclude il vescovo Nostro – perché le cose che lei ha detto, ha fatto o pensato, profumavano di vita eterna. Anche nella nostra vita si sente questo profumo?”