Due giornate di studio all'Istituto Teologico Calabro di Catanzaro
Il Sud? È una categoria teologicaCATANZARO – Le due giornate di studio svoltesi presso l’Istituto Teologico Calabro “San Francesco di Paola” nei giorni 5 e 19 maggio 2025 hanno rappresentato un momento di intensa riflessione sul ruolo della teologia nel Sud Italia, alla luce delle sfide contemporanee. Contributi significativi, tra cui quello del Card. Domenico Battaglia e di Don Vito Impellizzeri, hanno delineato una teologia “dal sud” capace di sgorgare dalla carne ferita delle popolazioni calabresi. La Calabria difatti, nel cuore del Mediterraneo, si offre come spazio teologico vivo, in cui la riflessione sulla fede non può prescindere dalle condizioni di marginalità, disuguaglianza e ferite storiche che segnano il territorio. Le giornate di studio promosse dall’Istituto Teologico Calabro “San Francesco di Paola”, hanno voluto dare voce a questo “grido degli ultimi”, e interrogare la teologia sulla sua capacità di farsi speranza credibile, non come mero esercizio astratto, ma come risposta ecclesiale incarnata e performativa. Una teologia che ascolta, contempla e interpreta i segni dei tempi con il cuore aperto alle domande profonde dell’umanità calabrese, che da secoli lotta con le sue contraddizioni e speranze.

La teologia “dal sud” è popolarità, familiarità e performatività della Rivelazione. Come ha sottolineato don Vito Impellizzeri nella giornata del 5 maggio, la teologia che nasce “dal sud” è una teologia sorgiva, situata, radicata in un contesto antropologico, culturale e simbolico. L’apertura dei lavori, invocando lo Spirito Santo, non può prescindere da un ricordo, da parte del pro-direttore dell’Istituto Teologico Calabro a Papa Francesco, il quale «ha seguito con attenzione il rinnovamento degli studi teologici in Calabria, incoraggiando e supportando i nostri Vescovi. Come Chiesa – aggiunge – siamo chiamati ad esercitare la profezia della comunione e della Sinodalità. È necessario imparare ad ascoltare il grido che emerge da uomini e donne del nostro territorio. Come Istituto Teologico dobbiamo essere consapevoli che non è possibile fare teologia ignorando le povertà esistenziali della nostra Calabria. Dobbiamo avvertire la stessa responsabilità che fu del Figlio di Dio, quella di portare a tutti la speranza del Vangelo, che è Cristo stesso». A questo augurio seguono le parole forti di don Vito Impellizzeri, preside della Facoltà Teologica di Sicilia, sottolineando che «ci sono delle parole carnali e incarnate definite gesuali, applicate per leggere la teologia del sud o meglio, dal sud, in quanto teologia sorgiva. Il sud è una categoria teologica, non è un complemento di specificazione».
Il “sud” non è solo una collocazione geografica, ma una postura teologica: guardare dal basso, dalle ferite, dai margini. In tale prospettiva, due categorie emergono: popolarità e familiarità. La fede, in Calabria, non si trasmette solo per dottrina, ma per riti, processioni, memorie condivise. La Rivelazione, qui, non è solo parola trasmessa, ma evento vissuto e corpo comunitario. La pietà popolare non è mero folklore, bensì il luogo in cui la Rivelazione si incarna nel vissuto di un popolo. I simboli, le pratiche, i riti non sono semplicemente espressioni culturali, ma dispositivi teologici. Come ha affermato Papa Francesco, nella pietà popolare si manifesta il sensus fidei del popolo di Dio. La teologia, dunque, deve riscoprire la propria dimensione narrativa, affettiva e familiare. Si sofferma Impellizzeri sulla famiglia come vero luogo dove appare il passaggio da carne e sangue alla Parola. «Dobbiamo attuare una ricerca di legami evangelici – suggerisce – che siano più forti dei legami di sangue per rileggere l’idea di familiare. In Sicilia, tra le strade, una delle espressioni tipiche più ricorrenti è “a cui apparteni”, in chiave evangelica “non è forse il figlio del falegname” (cfr. Mt 13,55)». La teologia deve entrare nelle case, nei santuari, nei canti antichi e nei gesti ripetuti della tradizione per riconoscere, con umiltà, che lo Spirito soffia anche lì, nei margini, dove troppo spesso si guarda solo con pietismo o con sufficienza.

La giornata del 19 maggio, sempre nell’Aula Magna Beato Francesco Mottola, arricchita dalla lectio del Card. Battaglia, ha riproposto con forza la necessità di una teologia profetica.
L’invito iniziale ad un minuto di silenzio “gravido e carnale”, ha costituito l’inizio della riflessione. Un silenzio che non è vuoto, dice Battaglia, ma grembo che contiene il dolore e la speranza della terra calabrese, una terra “ruvida” e “sacra”. Nel cuore della riflessione del Cardinale sta il Magnificat, letto non come canto devoto, ma come grido rivoluzionario. Maria rovescia l’ordine costituito perché ha sperimentato uno sguardo che riconosce: è lo sguardo di Dio sugli umili. Poi, nel silenzio orante dell’aula gremita e attenta continua: “Immaginate una notte senza lampioni, una notte di quelle in cui il cielo trema di stelle. In quella penombra il magnificat non è un richiamo di devozioni ben ispirate, ma un tamburo che palpita. Dio si è alzato in piedi e ha poggiato le mani sulla tavola del mondo; l’ha fatta vibrare e i potenti hanno avvertito un brivido dietro la nuca, agli ultimi invece è arrivata la scossa della vita, una corrente calda che risale le vene e dice “adesso”. E noi pastori della punta estrema d’Italia? Siamo chiamati ad intonare la stessa melodia che Maria intona da millenni. – Continua – Fratelli, accordiamo i nostri strumenti, che ogni piazza di Calabria inizi ad intonare la stessa partitura di Maria, solo così quando il vento risalirà lo stretto potremo dire che questa terra ha udito il canto limpido che spacca la storia».
Così anche la teologia è chiamata a esercitare uno sguardo nuovo: non neutrale, ma partecipe; non astratto, ma incarnato. Le figure di don Francesco Mottola, don Pino Puglisi, don Peppe Diana, don Tonino Bello, sono parabole vive di una teologia che ha saputo farsi carne e servizio, liturgia e giustizia. Ogni parola pronunciata da Don Mimmo, ha evocato la necessità di una Chiesa che tocchi il dolore con le mani e non lo edulcori con spiritualismi disincarnati, ricordando con forza che «se non tramutiamo in liturgia il fruscio ardito della strada rischiamo di celebrare un Vangelo in provetta». Poi una domanda profonda e provocatoria: «Quanto spazio riservano le nostre agende a quegli uomini delle periferie? Se non proteggiamo i profeti finiremo custodi dei superbi. E la superbia conservata diventa muffa sul Vangelo». Un invito forte a non temere la scomodità profetica, a rompere l’indifferenza, a custodire lo sguardo come sacramento. E conclude: «Dacci occhi alla Mottola, schiene alla Diana, metti sulle nostre labbra il sorriso alla Puglisi, legaci al fianco un grembiule alla Bello, per lavare piedi polverosi prima ancora che tocchino la terra, dove martelli e incensieri scandiscono lo stesso ritmo. A questo anelano i nostri fedeli, vogliono sorprendersi nel riflesso dei nostri occhi e avere la certezza che Dio non ha archiviato il dossier dell’umanità. Custodiamo lo sguardo come un sacramento. Magnificat o mia Calabria del Signore!».

La povertà come questione teologica e non solo sociale, poi, è quanto emerge dalle parole del Prof. Cersosimo. Questi, ha restituito uno spaccato drammatico della situazione socioeconomica calabrese. La povertà, qui, non è emergenza, ma struttura. Ricorda nel suo intervento che viviamo in un’epoca storica segnata da crescenti disuguaglianze di reddito e di ricchezza: tra Paesi e all’interno degli stessi, tra gruppi sociali, famiglie e individui. La crescita economica dei Paesi del Nord del mondo non ha favorito quella dei Paesi a basso reddito del Sud; al contrario, la ricchezza del Nord si è costruita grazie allo sfruttamento coloniale delle risorse naturali e della manodopera del Sud globale. Si tratta di un evidente fallimento della narrazione dominante secondo cui lo sviluppo del Nord sarebbe vantaggioso per tutti, in quanto la ricchezza si sarebbe dovuta diffondere anche nei Paesi poveri attraverso un processo di “gocciolamento”. Ricchi e poveri sono sempre esistiti, ma oggi i ricchi sono più numerosi che in qualsiasi altro momento della storia. Inoltre, la concentrazione della ricchezza globale è in aumento: l’1% più ricco della popolazione possiede oggi il 60% dei titoli finanziari mondiali; la ricchezza detenuta dalle 3.000 famiglie miliardarie è passata dal 4% dei primi anni Novanta al 15% attuale. In Italia, l’1% degli individui più ricchi detiene un patrimonio pari a 84 volte quello posseduto dal 20% più povero della popolazione.
La teologia non può che porsi come critica profetica, capace di denunciare le logiche meritocratiche e individualiste che giustificano l’ingiustizia. La riflessione sociale si salda così con quella teologica: non c’è salvezza senza giustizia, non c’è ecclesiologia senza ascolto del grido. L’opzione per gli ultimi non è strategia pastorale, ma luogo rivelativo. In questa chiave, si comprende anche il nesso con l’Evangelii Gaudium e con il magistero sociale di Papa Francesco: la Rivelazione interpella, converte, rovescia. Il professor Cersosimo ha dimostrato come la disuguaglianza non sia effetto del caso, ma risultato di precise dinamiche economiche globali. La Calabria rappresenta il paradigma di tale ingiustizia sistemica.
Un richiamo alla speranza in quest’anno giubilare emerge dall’intervento di S.E. Mons. Francesco Savino. Difatti sottopone alla riflessione quattro piste per «organizzare la speranza»:
· Educare e formare giovani, laici impegnati e operatori pastorali, capaci di metterci la faccia e di rompere le catene della povertà;
· Promuovere un’economia solidale, fondata su modelli alternativi capaci di offrire risposte concrete;
· Recuperare la tradizione del cattolicesimo democratico e risvegliare la santità politica della nostra terra;
· Creare reti di fraternità e di impegno condiviso, perché il cambiamento non si realizza mai da soli;
Queste quattro vie si collocano dentro una visione ecclesiale di giustizia sociale e trasformazione culturale, che richiede tempo, coraggio e visione profetica. Esse delineano un vero e proprio manifesto per una Chiesa del Sud, consapevole della propria missione.
In entrambe le giornate, si è chiaramente guardato alla teologia non come mera teoria che si impone, ma sapienza che si costruisce in ascolto reciproco.
Don Michele Munno, pro-direttore dell’ITC San Francesco di Paola, ha ricordato, nel suo saluto, che l’erezione dell’Istituto Teologico Calabro da parte di Papa Francesco costituisce un segno profetico per la regione. Il riferimento al magistero di Papa Leone XIV e ai principi di Evangelii Gaudium indica con chiarezza la direzione da seguire: primato di Cristo, opzione per gli ultimi, sinodalità, dialogo, sensus fidei. Su questa linea, i tavoli di studio hanno restituito una ricchezza di esperienze, mostrando la necessità di una teologia attenta al contesto sociale. Solo così la teologia può rigenerare il proprio linguaggio e diventare parola significativa per il nostro tempo. Il discepolato maturo è quello che sa abitare la complessità, lasciandosi provocare dalle ferite della storia. Una teologia che non ha paura della realtà, ma la assume, la contempla e la trasfigura.
In conclusione, la Calabria, con la sua storia di marginalità e di fede popolare, si offre oggi come un laboratorio profetico per tutta la Chiesa. Le giornate di studio del 5 e 19 maggio lo hanno mostrato chiaramente. La teologia è chiamata a partire da qui: da una terra attraversata da grida e semi, da ferite e profezie. Essa è chiamata a farsi feriale, povera e umile, per essere credibile. Solo così, richiamando il saluto augurale di Don Mario Spinocchio, rettore del Pontificio Seminario Teologico San Pio X di Catanzaro: «Dicono gli uomini che i tempi sono cattivi, diventino buoni e i tempi diventeranno buoni, noi siamo il tempo (cfr. Agostino, Discorsi, 80,8)…questo è l’augurio che porgo ad ognuno di noi».