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L’Arcivescovo di Napoli, il catanzarese Domenico Battaglia, che dal 7 dicembre indossa la berretta color porpora

Il nostro don Mimmo è diventato cardinale

Jeans, scarpette da tennis, una polo bianca, i capelli neri, un po’ lunghi, gli cadevano sugli occhi. Un gesto della mano a sollevarli, e a scoprire uno sguardo intenso da indios. La prima volta che ho incontrato don Mimmo l’ho visto così. Mi ha sorpresa, mi aspettavo di incontrare un prete ed avevo trovato un ragazzo. Solo dopo ho capito che l’incontro con quel sacerdote, giovane e informale nell’abito, era il dono che Dio mi aveva dato facendomi incontrare la Fede, la Spiritualità.

Oggi, raccontare don Mimmo, il Cardinale, non è cosa semplice perché quel ragazzo di più di trent’anni fa è presente e vivo nella mia esistenza come se tutto questo tempo non fosse passato, come se tra don Mimmo e il Vescovo e il Cardinale, nulla sia cambiato.

Eppure, da quella mattina di tanti anni fa, quando la mia vita di ragazza ha incontrato don Mimmo, sono successe tante cose: la disperazione si è trasformata in forza, l’esistenza è diventata vita, la rassegnazione, speranza.

Don Mimmo, invece, è rimasto don Mimmo, anche se non indossa più i jeans, non calza scarpe da tennis. Le strade che continua a percorrere sono quelle polverose sulle quali cammina da quando nel 1988, è stato ordinato sacerdote a 25 anni, nella Chiesa del suo paese, Satriano, un pezzo di Calabria appesa tra mare e montagna, in bilico tra bellezza e solitudine. La vocazione a farsi prete lo ha raggiunto e non lo ha più lasciato, forte e trasparente come le acque dello Ionio sul quale si affaccia il suo paese.

Quattro anni dopo, nel 1992, non ancora trentenne, don Mimmo la sua strada di prete ha deciso di percorrerla caricandosi sulle spalle il dolore di ragazzi come lui. Erano gli anni dell’eroina che ammazzava nei parchi, nei giardini pubblici, nelle scuole, un fronte spietato di guerra che negava vita e speranza. Il no di don Mimmo a quella strage è la creazione del Centro calabrese di solidarietà, una comunità che alla politica del metadone oppone il culto della vita come atto di Fede e di coraggio e l’insegnamento di don Mario Picchi.

Don Mimmo l’ho incontrato la prima volta nel giardino della comunità. Ci sono arrivata col cuore a pezzi. Lì, qualche giorno prima, era morto un amico di infanzia. Lì quell’amico, aveva trovato pace in un’esistenza vissuta col piede sempre sull’acceleratore. Don Mimmo mi invitò ad unirmi al gruppo e non ci furono parole e presentazioni, bastò uno sguardo, una mano tesa.

Poi venne l’ascolto, la Parola, la complicità tra anime e un patto siglato in un atto di Fede che non mi ha più abbandonata. Negli anni gli ho aperto il mio cuore, prima di ragazza e poi di donna che è diventata moglie e madre e che don Mimmo ha guidato con la pazienza del pastore che guarda a tutte le sue pecore e non si distrae mai.

Don Mimmo ha parlato alla comunità del Centro calabrese di solidarietà, agli ospiti, ai volontari, a chi incuriosito si avvicinava a quel mondo, non solo e non tanto di disintossicazione e cura del corpo, parlava a tutti noi di Vita da coccolare e rispettare, ci investiva della responsabilità di essere “capolavori” di Dio, testimoni in terra del Suo Amore.

Negli anni si è caricato sulle spalle il dolore, la delusione, la solitudine, di padri e madri, di figli e fratelli. Per ognuno ha trovato una parola ma anche un ascolto silenzioso.

 Don Mimmo è stato lì per tutti, sempre. E c’è ancora, anche oggi, che è chiamato a percorrere una strada diversa, altrettanto faticosa.

Nel 2016, improvvisa, magari anche un po’ inaspettata, è arrivata la notizia della nomina a Vescovo della diocesi di Cerreto Sannita-Telese – Sant’Agata de’ Goti, per la gente del Centro calabrese di solidarietà è stato un fulmine a ciel sereno. Don Mimmo se ne andava, don Mimmo diventava Vescovo ed era una cosa bella, ma don Mimmo ci lasciava a camminare sulle nostre gambe e nessuno di noi pensava di essere pronto.

E pronto, magari, non pensava di essere neppure lui. Lo abbiamo visto preoccupato, pensieroso gravato di un peso e di una responsabilità ma è stato per poco. Il saluto alla sua gente lo ricordo ancora, nello stesso giardino dove lo avevo incontrato ragazzo, dove lo avevo seguito in un percorso di Fede.

“È il Signore che mi chiede di andare – disse –  io sono nato per seguire la sua Volontà, non la mia” Lo sguardo da indios era bagnato di lacrime, pensava ai suoi ragazzi che avrebbe lasciato, al progetto per donne in difficoltà che avrebbe voluto portare avanti, agli operatori della comunità che con lui erano cresciuti, pensava alla sua mamma che avrebbe lasciato a Satriano.

Ma don Mimmo, chi lo conosce lo sa bene, è prima di ogni altra cosa uomo di Fede e allora se il Signore chiede, don Mimmo veste l’abito di Vescovo, lascia la sua casa e la sua comunità e parte per una nuova fatica portandosi dietro un bagaglio umano e doloroso ma anche la consapevolezza che la vita non gli appartiene.

Il Duomo a Catanzaro dove fu ordinato Vescovo il 3 settembre del 2016, era affollato di fedeli. La foto di quella gente, arrivata per salutarlo, è uno scatto in bianco e nero, un misto di gioia e dolore.

Un mese dopo a Cerreto, nella sua prima sede di Vescovo, lo accompagnammo in tanti. La piazza davanti la Cattedrale era invasa da pullman e macchine che avevano viaggiato per ore dalla Calabria. La polizia locale rimase sorpresa. “Ma quanti siete?” chiedeva un ragazzo in divisa, che i mezzi non sapeva più dove sistemarli.

Nel Duomo non ci fu posto per tutti e molti rimasero fuori. 

“Dovremo imparare a conoscerci e a volerci bene disse dall’Altare. “Io mi presento, sono don Mimmo. Chiamatemi così. La mia porta è sempre aperta per tutti. Sono arrivato qui, il Signore mi ha voluto qui, per essere vostro servo, vostro amico”.

In Chiesa, io, non riuscivo a fermare le lacrime. Un carabiniere in alta uniforme mi allungò un fazzoletto. Alla fine della Messa mi disse: ”Non capivo perché piangeva cosi tanto! Avete perso un prete straordinario. Ma anche noi ne avevamo veramente bisogno”.

 Il giorno dopo la comunità di Cerreto si svegliò con una novità importante. Il portone monumentale del palazzo Vescovile era aperto, spalancato sulla piazza per accogliere i bisogni della gente. Così è rimasto fino al 12 Dicembre del 2021 quando, Papa Francesco, ha nominato Don Mimmo Vescovo di Napoli. Anche la comunità di Cerreto ha conosciuto la gioia ed il dolore di vederlo andare via. Loro, ancora non avevano sperimentato che Don Mimmo risponde sì al Signore ma non abbandona la gente che ha incontrato per strada. Non lo fa mai. Noi calabresi lo avevamo vissuto già nei cinque anni di don Mimmo a Cerreto.

A Napoli, in una Diocesi importante, sede Cardinalizia, ci è arrivato a Febbraio del 2021, qualche giorno prima aveva compiuto 58 anni.

I capelli neri hanno virato all’argento, il passo è ancora spedito e lo sguardo da indios è sempre lo stesso. Uguale è anche il modo di parlare alla gente. Anche qui don Mimmo resta don Mimmo e alla comunità di Napoli parla di “Tenerezza per curare le ferite di una città dolente”. Il suo primo Natale da Vescovo di Napoli lo vive tra i ragazzi di Scampia, a loro chiede di “rivoluzionare” le proprie vite con il messaggio di Gesù. Per arrivare ai loro cuori utilizza il Vangelo declinato dalla “Buona Novella” di Fabrizio De Andrè. Ai napoletani delle strade di lusso ricorda, in modo impertinente, che ci sono gli operai della Whirlpool che avranno un Natale senza stipendio.

L’annuncio della sua creazione a Cardinale arriva il 4 Novembre del 2024.

Questa volta non dovrà fare la valigia. Il Cardinale resta a Napoli. Oggi, i suoi capelli sono sempre più bianchi, di anni ne compirà 62 il 20 febbraio del 2025. Sulle sue spalle e nel suo cuore pesa il fardello di tante, troppe responsabilità. Ma lo sguardo da indios è sempre lo stesso: carico di amore, capace di infondere serenità. Il 7 Dicembre è stato creato Cardinale durante il Concistoro e l’ha già detto: “Non chiamatemi Eminenza. Sono don Mimmo”.