La "Dilexit nos", quarta enciclica di Papa Francesco
Il centro unificante dell’amore? È il Sacro Cuore di Gesù“Dilexit nos” ( “Ci ha amati”) è il titolo scelto da papa Francesco per la sua quarta Enciclica. Un documento sull’“amore umano e divino del Cuore di Gesù Cristo” presentato lo scorso 24 ottobre.
Una devozione, quella al Sacro Cuore, molto diffusa anche se può sembrare sentimentale e poco attuale.
Al Sacro Cuore di Gesù si sono soffermati, con altre Lettere Encicliche, altri Pontefici a partire da Pio XI nel 1928 con “Miserentissimus Redentor”. E poi Pio XII nel 1956 con “Haurietis Aquas”; nel 1965 con “Investigabiles divitias Christi” Paolo VI e nel 1980 Giovanni Paolo II con la “Dives in Misericordia”.

Anche il Beato don Francesco Mottola ha dedicato attenzione al Sacro Cuore di Gesù. Nella Regola dei sacerdoti Oblati aveva indicato, infatti, il programma di promuovere “anche negli altri, con zelo, la vita eucaristica, il culto al Sacro Cuore di Gesù”. Una devozione che gli Oblati “considerano come loro principale ministero”. Sin da giovane il sacerdote tropeano si adopera, infatti, con tutte le sue energie per la consacrazione al Sacro Cuore e nel 1924 vuole dedicare la regione Calabria a questo. Scopre però che la Calabria era già stata consacrata al Sacro Cuore nel 1903. Ma insiste: “non è male ripetere quello che è stato dimenticato”. Una devozione forte tanto che volle dedicare i tre Istituti da lui fondati al Sacro Cuore. Era convinto, come scrive nel Diario, che gli “uomini non hanno più tempo di guardare a Lui, non sentono, perché assordati da mille rumori, la sua Voce divina”.
E Papa Francesco, in questa lettera, sottolinea – quasi in linea col Beato – che la società mondiale “sta perdendo il cuore” e sottolinea che “tutto è unificato nel cuore, che può essere la sede dell’amore con tutte le sue componenti spirituali, psichiche e anche fisiche”. Se nel cuore regna l’amore – scrive – “la persona raggiunge la propria identità in modo pieno e luminoso, perché ogni essere umano è stato creato anzitutto per l’amore, è fatto nelle sue fibre più profonde per amare ed essere amato”.
E in questo tempo il pensiero del Pontefice non poteva non andare alle guerre che imperversano nel mondo. Al momento in cui scriviamo se ne contano 56: da quelle conosciute come quella in Ucraina e in Medio Oriente a tantissime guerre e territori martoriati dalla violenza di cui non parla nessuno come il Mozambico o tanti Paesi del Continente Africano.
Vedendo come si susseguono nuove guerre, “con la complicità, la tolleranza o l’indifferenza di altri Paesi, o con mere lotte di potere intorno a interessi di parte, viene da pensare che la società mondiale stia perdendo il cuore”, sottolinea papa Bergoglio: “basta guardare e ascoltare le donne anziane – delle varie parti in conflitto – che sono prigioniere di questi conflitti devastanti. È straziante vederle piangere i nipoti uccisi, o sentirle augurarsi la morte per aver perso la casa dove hanno sempre vissuto. Esse, che tante volte sono state modelli di forza e resistenza nel corso di vite difficili e sacrificate, ora che arrivano all’ultima tappa della loro esistenza non ricevono una meritata pace, ma angoscia, paura e indignazione. Scaricare la colpa sugli altri non risolve questo dramma vergognoso. Veder piangere le nonne senza che questo risulti intollerabile è segno di un mondo senza cuore”.
Il Papa nel documento di 132 pagine, diviso in cinque capitoli, cita le proposte spirituali di autori come S. Ignazio di Loyola, Michel de Certeau, San Bonaventura, John Henry Newman e sottolinea che “insieme a Cristo, sulle rovine che noi lasciamo in questo mondo con il nostro peccato, siamo chiamati a costruire una nuova civiltà dell’amore”. “In mezzo al disastro lasciato dal male, il Cuore di Cristo ha voluto avere bisogno della nostra collaborazione per ricostruire il bene e la bellezza”: “ogni peccato danneggia la Chiesa e la società”, spiega parlando anche del “peccato sociale”, che vale soprattutto “per alcuni peccati che costituiscono, per il loro oggetto stesso, un’aggressione diretta al prossimo”. “La riparazione cristiana non può essere intesa solo come un insieme di opere esteriori”, ma, scrive il papa – significa “riparare i cuori feriti”, “riconoscersi colpevoli e chiedere perdono”. In mezzo al “vortice del mondo attuale e alla nostra ossessione per il tempo libero, il consumo e il divertimento, i telefonini e i social media, dimentichiamo di nutrire la nostra vita con la forza dell’Eucaristia”, si evidenzia nel testo dove il papa mette in luce come nell’attuale società si stanno moltiplicando varie forme di religiosità “senza riferimento a un rapporto personale con un Dio d’amore, che sono nuove manifestazioni di una spiritualità senza carne”. Di qui l’invito a rinnovare la devozione al Sacro Cuore di Gesù, che “ci libera da un altro dualismo: quello di comunità e pastori concentrati solo su attività esterne, riforme strutturali prive di Vangelo, organizzazioni ossessive, progetti mondani, riflessioni secolarizzate, su varie proposte presentate come requisiti che a volte si pretende di imporre a tutti”.
Tanti gli uomini e donne citate nel testo, esempi scintillanti di devozione come San Francesco di Sales, Santa Margherita Maria Alacoque, Santa Teresa di Lisieux, Santa Faustina Kowalska e San Giovanni Paolo II. E conclude approfondendo, nell’ultimo capitolo dedicato all’ “Amore per Amore”, la dimensione comunitaria, sociale e missionaria del cuore di Cristo e la preghiera al “Signore Gesù che dal suo cuore santo scorrano per tutti noi fiumi d’acqua viva per guarire le ferite che ci infliggiamo, per rafforzare la nostra capacità di amare e servire, per spingerci a imparare a camminare verso un mondo giusto, solidale e fraterno, questo fino a quando celebreremo felicemente uniti il banchetto del Regno celeste, lì ci sarà Cristo risorto che armonizzerà tutte le nostre differenze con la luce che sgorga incessantemente dal suo cuore aperto, che sia sempre benedetto”.
“Oggi tutto si compra e si paga, e sembra che il senso stesso della dignità dipenda da cose che si ottengono con il potere del denaro”: “Siamo spinti solo ad accumulare, consumare e distrarci, imprigionati da un sistema degradante che non ci permette di guardare oltre i nostri bisogni immediati e meschini”. “L’amore di Cristo – dice il Pontefice – è fuori da questo ingranaggio perverso e lui solo può liberarci da questa febbre in cui non c’è più spazio per un amore gratuito”. Egli solo è in grado di dare “un cuore a questa terra e di reinventare l’amore laddove pensiamo che la capacità di amare sia morta per sempre”.
E il raffronto con don Mottola non può che essere attuale. Il sacerdote calabrese, in pieno Ventesimo secolo, quando si parlava della “scomparsa” di Dio tra gli uomini, richiamava al Cuore al Gesù che è – scriveva – la sintesi splendida del cuore umano e divino di Cristo”. Per don Mottola le “esperienze personali nessuno le sa, sono vitali e personali e possono tradursi in una ascesa continua. Meta è il Sacro Cuore di Gesù a cui bisogna conformarsi vitalmente, con soprannaturalità sempre crescente”. E’ quel “Cuore” al quale deve rivolgersi ogni cristiano per trovare pace e dissetarsi per una vita nuova.