Il pensiero dell'abate calabrese "di spirito profetico dotato"
Gioacchino da Fiore, il futuro come compimento di un piano divinoNella tradizione culturale calabrese emergono tre figure che, in tempi e situazioni diversi, hanno caratterizzato l’identità civile e religiosa di un popolo: Flavio Magno Aurelio Cassiodoro (490-580 circa), Gioacchino da Fiore (1130 circa-1202), Tommaso Campanella (1568-1639). Si tratta di contesti culturali entro i quali l’apertura al futuro ha richiesto visioni innovative: Cassiodoro lo fece in relazione alla tradizione classica della romanità nell’incontro con la dominazione barbarica; Campanella nel suo tempo si oppose alla dominazione spagnola con una rivoluzione utopica e brutalmente repressa; Gioacchino da Fiore “di spirito profetico dotato”, come lo definisce Dante ponendolo nel cielo del sole del suo Paradiso, lesse la storia nel suo divenire triadico come un emergere dello Spirito nella prospettiva escatologica che surrogava dalla Apocalisse di San Giovanni, ma anche dalla apocalittica espressa dalla pietà popolare del Medioevo.

Era nato a Celico, vicino Cosenza, ma la sua formazione culturale avvenne a Palermo che era diventata la capitale del regno normanno ed accoglieva un incrocio delle culture bizantina e araba in una simbiosi espressiva in tutte le arti che ancora oggi ne mostrano le meraviglie. Il viaggiatore musulmano Ibn Jobair, nella seconda metà del XII secolo, è meravigliato dalla corte di Palermo, dove si affiancano Normanni e Siciliani, Bizantini e Musulmani, dove il latino, il greco, l’arabo sono le tre lingue ufficiali della cancelleria reale. Il regno normanno sarà per la cristianità un modello politico, ove si definisce una monarchia feudale ma moderna, e culturale centro di traduzione dal greco e dall’arabo, focolaio di formazione artistica, di cui si ha ancora una testimonianza nelle magnifiche chiese di Cefalù, di Palermo, di Monreale, che combinano in sintesi originali le soluzioni romano-gotiche cristiane con le tradizioni bizantine e musulmane. In questo ambiente si forma la più strana e affascinante personalità della Cristianità medievale, l’imperatore Federico II.
Dalla esperienza palermitana è potuta venire la creazione di simboli che il genio immaginifico di Gioacchino ha espresso nel Libro delle figure, dove si rivela pensatore pittorico e poeta delle immagini. All’età di 25 anni divenne monaco cistercense nella abbazia della Sambucina; nel 1167 si recò in Terrasanta dove ha potuto approfondire la sua conoscenza delle Sacre Scritture maturando la capacità esegetica e l’attenzione alla storia e alle sue dinamiche. Fu accolto nel monastero di origine cistercense di Santa Maria di Corazzo a partire dal 1172 e lì venne ordinato sacerdote dal vescovo di Catanzaro; nel 1177 fu eletto abate di quel monastero che cercò di affiliare alla Sambucina, ma la comunità si rifiutò di accettare l’affiliazione e Gioacchino andò a risiedere nella abbazia di Casamari. nel Lazio, vicino Frosinone (1183-1187), prima di fondare il suo ordine monastico dei Florensi al quale dedicò il resto della sua vita con le numerose fondazioni, la principale delle quali fu nel 1190 l’abbazia di san Giovanni in Fiore, nella Sila cosentina, che divenne la sua sede permanente. La sua vasta produzione letteraria accompagnò la sua vita movimentata stabilendo fecondi rapporti sia con le potenze civili che con quelle religiose, soprattutto con il papato, professando sempre ampie dichiarazioni di ortodossia. Oltre al Libro delle figure, le opere più importanti sono Il Salterio a dieci corde; Introduzione all’Apocalisse; Concordia del Nuovo e dell’Antico Testamento. L’attenzione alla storia e alle sue dinamiche lo pose come pensatore di riferimento nell’epoca delle incertezze politiche, economiche, sociali e in qualche modo ispiratore di azioni di rinnovamento o rivoluzionarie come quelle che ebbero protagonisti Cola di Rienzo, Giuseppe Mazzini, Carlo Marx, e poi nel secolo XX Ernesto Bonaiuti in Italia (L’Evangelo eterno), e, più vicino a noi in Germania Ernst Bloch (Il principio speranza) e Jurgen Moltmann (La telogia della speranza). Gioacchino da Fiore fu l’esponente maggiore, il maestro, il profeta di tutta la spiritualità del secolo XIII, ed insieme l’ispiratore massimo degli atteggiamenti spirituali dell’epoca. Partendo da una intuizione fondamentalmente mistica del dogma trinitario, egli concepiva la storia umana come il progressivo spiegarsi dell’azione divina nel mondo e tentava di ricostruire, attraverso le rivelazioni dei testi sacri, le fasi e i periodi di questa incessante teofania.

La sua visione guarda al futuro come compimento di un piano divino, che già sant’Agostino aveva esaltato nella sua opera La città di Dio (De civitate Dei). Il concetto di Civitas Dei , che in Agostino è ricco di prospettive, è passato al Medioevo solo in una visione unilaterale e ristretta con l’identificazione del Regno di Dio con la Chiesa visibile e il concetto di Chiesa viene giuridicizzato come societas perfecta , come corporazione dei cristiani. All’interno di questa concezione giuridica nel Medioevo andò sempre più evidenziandosi una separazione sempre più chiara tra teologia e pietà popolare, tra chiesa del clero e chiesa del popolo, tra una spiritualità alta e colta e una spiritualità bassa e incolta: ciò rese possibile lo sviluppo di correnti spirituali a diversi orientamenti che hanno fatto riemergere l’antica dinamica della escatologia cristiana che nel secolo XII e nella prima metà del XIII manifestò nell’occidente cristiano una generale ed estesa tendenza di religiosità escatologica (come nelle crociate, nei viaggi dei flagellanti, nei movimenti ereticali degli albigesi, valdesi, hussiti, dei poveri e riformatori) che trovò larga accoglienza in Gioacchino da Fiore (e più tardi in Gerolamo Savonarola) e si espresse nella rappresentazione dei misteri, in manifestazioni letterarie, nelle fantasiose descrizioni dei predicatori popolari, nello sviluppo della liturgia funebre e nella descrizione iperbolica del cielo, dell’inferno e del purgatorio e il ritorno di Cristo con la fine del mondo. Il Dies irae che è giunto fino a noi data probabilmente dallo scorcio del secolo XII e caratterizza la mentalità di cui era impregnata la pietà popolare di allora con angoscia e terrore nella dimensione individualistica della salvezza o della perdizione. Si colloca in queste dinamiche dell’apocalittica medievale ed in tale quadro storico la posizione sostenuta da Gioacchino da Fiore in cui l’Apocalisse trova la sua definitiva interpretazione.

La sua ripartizione della storia nelle tre età del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo non è soltanto una reminescenza delle fasi della dottrina montanista, ma costituisce un ulteriore ed essenziale passo avanti verso la secolarizzazione della escatologia, che avrebbe dovuto trovare il suo punto storico terminale nel 1260 con l’inizio della terza ed ultima fase, con l’età dei monaci, nella quale si sarebbe realizzata l’epoca giovannea, il discorso della montagna, la conversione dei giudei, la eliminazione della guerra e dello scisma. La concezione triadica di Gioacchino, che riflette nella storia le relazioni trinitarie, vede la chiesa di carne, ossia la chiesa istituzione temporale, la chiesa dei tiepidi con tutti i suoi poteri e i suoi privilegi,e la chiesa dello Spirito in grado di aprirsi realmente e in umiltà alle sofferenze del mondo: la originalità di Gioacchino sta nel fatto che egli concepisce le diverse fasi non come stadi chiusi in sé, che l’uno comincia dove l’altro finisce, ma considerando già operativi nel presente del suo ambiente storico le forze della Chiesa spirituale contro la clericale chiesa imperiale destinata ad essere sostituita. Nel suo tempo Francesco di Assisi e il movimento francescano furono la chiesa dello Spirito, come oggi, all’inizio del secondo millennio dell’era cristiana, Papa Francesco ha fatto emergere la chiesa dello Spirito a servizio dell’umanità.