Un Magistero improntato al principio teologico del tempo "superiore" allo spazio
Francesco, il Papa che si è fatto popoloHa iniziato il suo pontificato chiedendo la benedizione al popolo. Lo ha concluso ritornando, per un’ultima volta, in piazza San Pietro benedicendo il popolo. L’alfa e l’omega; l’inizio e la fine. Ecco, il Vangelo del popolo di Francesco.
La più importante, la più bella, la più significativa enciclica di Papa Francesco è quella che ha vergato con i gesti eloquenti di un magistero che si è dimostrato prima di tutto come vita: vita concreta, sperimentata, donata. Al popolo si è consegnato, il giorno dell’elezione al soglio di Pietro, e dal popolo si è congedato, nel giorno della Pasqua liturgica, provvidenzialmente coinciso con la sua Pasqua di Resurrezione. È una parabola, questa del pontificato francescano, segno eloquente della categoria teologica del “popolo di Dio” proposta dal Concilio Vaticano II per esprimere la Chiesa di Cristo.

Il primo Pontefice latino-americano ha impresso al ministero del vescovo di Roma, quindi, il sigillo della teologia del popolo argentina, che come le altre esperienze (più che riflessioni) contestuali riporta alla necessità di interpretare il Vangelo alla luce delle realtà sociali, storiche, economiche. Di quelli che sono – per riprendere le parole di Giovanni XXIII – i “segni dei tempi”. La Parola del Vangelo non può che essere spezzate nelle periferie sociali ed esistenziali, tra gli ultimi, gli emarginati, i poveri, che attendono la liberazione dalle sofferenze, dalle oppressioni e da forme di soprusi e di sfruttamento. Per questo lo sguardo della Chiesa con Francesco è finalmente diventato periferico, spostandosi verso i Sud del mondo, denunciando il capitalismo “che uccide” e la “cultura dello scarto” che caratterizza un Occidente sempre più individualista.
È un papa che si è fatto “popolo”, Francesco. Al punto da rendere l’istituto del Sinodo dei vescovi un processo sinodale del Popolo di Dio, all’interno del quale anche le donne hanno avuto diritto di voto. Un processo, per l’appunto, che non può ancora ritenersi concluso. Perché per Francesco camminare è stato sempre più importante della meta: bisogna tenere in considerazione non tanto il punto il punto di arrivo, quanto il percorso. D’altronde, il principio teologico del tempo “superiore” allo spazio ha caratterizzato, sin dall’inizio, questo magistero pontificio.
La dimensione popolare ha caratterizzato anche la fine della vita. Per la morte, Francesco ha disposto che le liturgie fossero più sobrie, improntate ad uno stile autenticamente evangelico, senza troppi sfarzi. Ha inteso, in questo modo, lasciare la vita terrena come ogni altro discepolo di Cristo. Ricordando, e ricordandosi, di essere “popolo”. Le norme liturgiche sono state rese funzionali a questa visione “ecologizzante” della realtà. Che rende pulite le nostre relazioni, al di là delle appartenenze di fede; le pacifica; le consolida nell’ottica della fratellanza universale.
Più ci si spoglia degli orpelli esteriori più si fa esperienza del divino. È questa la mistica francescana di un pontefice che si è “fatto” popolo, rinunciando a sé stesso per indicare il volto di Dio, convertendo il mondo, e solo in esso la Chiesa cattolica.
(*) Professore associato di Diritto e religione nel Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Pisa