Anche nell'opera del teologo calabrese (1949-2017), come negli scritti di don Mottola, la contemplazione poetica della bellezza del Creato conduceva alla trascendenza e alla salvezza
Don Ignazio Schinella, un poeta disceso dal TaborLa relazione di don Ignazio Schinella con la terra, con la creazione, con il mondo, non era inficiata da un problematico dualismo. Faceva pensare piuttosto alla lode che esplode nel salmo 19 :”i cieli narrano la gloria di Dio, e l’opera delle sue mani annunzia il firmamento” o all’insegnamento di Isacco di Ninive, per il quale il mondo è un testo trinitario:”La fede è la porta dei misteri. Quello che gli occhi del corpo sono per le cose sensibili, la fede è per gli occhi nascoste dell’anima. Come abbiamo due occhi corporei, così noi abbiamo due occhi spirituali (…) e ciascuno ha la sua propria visione. Con l’uno vediamo i segreti della gloria di Dio nascosti negli esseri (…) con l’altro contempiamo la gloria della santa natura di Dio, quando egli vuole farci entrare nei misteri”. (Discorsi ascetici,72).Tutta l’esperienza monastica vive questa contemplazione ravvicinata della presenza di Dio. Evagrio Pontico in Trattato poetico riporta questo episodio del padre del monachesimo:”Uno dei saggi di allora venne a trovare Antonio, il giusto, e gli domandò.”Padre, come potete essere così felice, mentre siete privo della consolazione che danno i libri?” Antonio rispose :” Il mio libro, o filosofo, è la natura degli esseri, e quando voglio leggere le parole di Dio, questo libro è sempre davanti a me”.

In don Ignazio era viva questa attitudine contemplativa, arricchita dalla penetrazione poetica che era un dono offerto alla sua conoscenza teologica che lo conduceva a un trascendimento della terra, secondo le espressioni di O. Clement ( Alle fonti con i Padri, Città Nuova 2001,passim):Dopo l’Incarnazione, la Passione e la Pasqua, la terra appare come una immensa reliquia, la tomba-matrice in cui Cristo fu sepolto (la porta di questa tomba non è stata mai chiusa!), e alla quale, risorgendo, diede nuova vita. E l’albero della croce, divenuto albero della vita, identifica segretamente la terra col paradiso, rimette in evidenza la sacramentalità delle cose.
Per don Ignazio la bellezza che salva non è stato un vuoto slogan di maniera, ma la riscoperta, in forma di bellezza, della Trinità di Dio in azione nel mondo, come orizzonte di salvezza e programma di vita, che coniuga l’eterno con il contingente e dà significato ai giorni dell’uomo. Il card. Martini, quando era arcivescovo di Milano, nella Lettera Pastorale per l’anno 1999-2000 Quale bellezza salverà il mondo? (Centro Ambrosiano,Milano 1999), presentava l’icona della trasfigurazione sul monte Tabor come identikit della bellezza che salva: Chi fa esperienza della Bellezza apparsa sul Tabor e riconosciuta nel mistero pasquale, chi crede all’annuncio della Parola della fede e si lascia riconciliare col Padre nella comunione della Chiesa, scopre la bellezza di esistere, e un livello che nulla e nessuno al mondo potrebbe dargli. Di questa Bellezza, che viene dall’alto, il discepolo di Gesù deve nutrirsi e sempre di nuovo farsi annunciatore, per condividerla con chi la conosce e con chi in forme diverse è alla ricerca.
Don Ignazio Schinella ha trovato specialmente nella persona e nell’opera di don Francesco Mottola, il sacerdote di Tropea del quale ha curato la positio per l’introduzione del processo canonico di beatificazione, un poeta lirico della contemplazione della Bellezza, in cui appare sempre forte la sensibilità verso la bellezza della natura della sua terra, nella quale vede risplendere il Dio invisibile che egli ama con tutte le sue forze e che riesce a leggere in tutte le creature fino a cantarne lo stupore e la gioia dell’incontro anche nella realtà di vite abbrutite e nella sua stessa condizione di sofferenza. Don Ignazio, in cui abita un poeta disceso dal Tabor, si è sintonizzato su quelle frequenze contemplative, raccogliendo parole ricche di memoria di visioni, con quegli occhi nascosti dell’anima che ad Antonio, padre del monachesimo, facevano leggere la natura degli esseri in quel libro sempre aperto. Il silenzio della natura in don Mottola è la preghiera salmica di Dio, la lode e il canto del creato al Creatore (Ignazio Schinella,Il pozzo della reggia,Rubbettino 2001,p.141).
Ascoltate il silenzio meraviglioso della natura: all’alba, nei meriggi, nei tramonti, nelle notti stellate; poi piegatevi ancora sulle corolle, e sentirete il loro silenzio. Fatelo, se avete anima di artista o di santo, e sentirete sulle pietre e nel cuore delle rocce il silenzio che parla di Dio.Queste parole sono di don Mottola (Archivio Casa Mottola, C 29, AD 103,1) e sono in perfetta linea con la spiritualità dei Padri, ed anche con la spiritualità di don Ignazio Schinella : la bellezza del creato è la prima rivelazione di Dio, che penetra nell’anima con la dolcezza di una lauda sacra (Don Mottola, in Parva Favilla 1, ottobre 1933,1), in una sorta di dialogo simpatetico tra il silenzio dell’anima e quello della natura. Certamente don Ignazio ha letto con entusiasmo le pagine di don Mottola e ha fatto sua quella sensibilità ispirata che gli è divenuta famigliare ( Parva Favilla 9, giugno 1941, 1): Hai dato, qualche volta, uno sguardo alle pagine della natura? Hai udito mai i canti delle selve e delle cime che cercano i cieli? Le voci dei fiumi che rumoreggiano a valle, e delle acque del mare battute dalla nostalgia della montagna? Hai contemplato, nella profondità della notte, il cielo scritto con bagliori di topazio ed ametista – e hai cercato di leggere in quelle pagine luminose dei cieli stellati? Se il tuo occhio non è murato in una notte perenne, e il tuo cuore sepolto nel senso o nello stomaco o nell’oro – tu hai sentito o visto pagine di lirica rovente, che parlano dell’amore infinito del Padre dei cieli: dilexit – amò, e per questo – solo per incontenibile ardenza di amore – cercò l’uomo e lo circondò di stelle e di fiori e di mille armonie. Perchè l’amore dona, e il primo dono è il dono delle proprie cose.
Nella introduzione della pubblicazione Nella compagnia degli uomini, (ed. Bakos, Castrovillari, 2011) raccolta di Scritti e testimonianze per il mio 50° di sacerdosio, don Ignazio concludeva riportando alcuni versi del XII secolo che ritraggono la figura del presbitero: Un prete deve essere un paradosso/grande e piccolo insieme,/di spirito grande e aperto, un re,/semplice e naturale, di carne contadina,/ un lottatore per vincersi,/un uomo che porta i segni della lotta con Dio,/una sorgente di santificazione,/un uomo perdonato da Dio . E aggiungeva:…anche la terra, la vita e persino la roccia si sfarina, ma Dio, la Trinità Beata, insieme alla Beata Vergine Maria rimane.E noi, come piccoli frammenti tra le mani dell’indivisa consustanziale Trinità, sotto il manto della Madonna di Romania, restiamo attoniti e silenti:ecce, fiat, amen.
Quel leggitore di Dio che fu don Ignazio ci ha lasciato pagine altamente poetiche oltre che spirituali. Egli ha steso il suo sguardo sui volti di uomini e di donne in cerca di luce, sopra la distesa azzurra del mare e sotto il cielo e le montagne in ogni tempo, e ha goduto visioni piene di dolcezza, perchè, scendendo dal Tabor, non ha smarrito lo splendore del monte.