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Editoriale del n. 1 / 2025

Da Francesco a Leone XIV, passando per Agostino

  Noi calabresi siamo spinti a ricordarlo per la scomunica degli ndranghetisti. Papa Francesco, che ci ha lasciati nel giorno del lunedì dell’Angelo, la pronunciò a Sibari il 21 giugno 2014, durante la visita a Cassano Jonio propiziata dal vescovo dell’epoca, Nunzio Galantino. “La ndrangheta è adorazione del male e disprezzo del bene comune. Coloro che nella vita seguono questa strada del male, come sono i mafiosi, non sono in comunione con Dio, sono scomunicati!” Quella frase non era scritta nel discorso consegnato prima, com’è prassi, ai giornalisti, e poi letto al momento dell’omelia. Con i colleghi che, come me, seguivano quella storica visita papale, ci guardammo in faccia, come per chiederci se avevamo capito bene il significato delle parole appena dette da Bergoglio. Annuì il primo, poi il secondo, poi il terzo, e così via, fino ad  averne la sicura conferma: si, avevamo capito bene, per il Papa i mafiosi sono scomunicati.

  Ma, così come in Calabria ha affrontato a chiare lettere il problema lacerante della violenza mafiosa, Papa Francesco – che ha decretato la beatificazione di don Francesco Mottola il 10 ottobre 2021 – nel corso del suo immenso magistero non ha trascurato alcun versante del suo compito planetario. L’invocazione della pace sempre, la Chiesa come ospedale da campo, l’ accoglienza dei migranti, hanno disegnato  i tratti di un impegno nel sociale che non ha tolto spazio né a direttive morali chiare (“i medici che fanno l’aborto sono dei sicari”), né tanto meno al messaggio universale dell’amore, declinato anche nel vecchio, caro àmbito della coppia (“L’amore è come un tango”).

  Così facendo, Papa Bergoglio ha esaudito la ricerca di chi insegue un senso; ha prospettato una gamma di ideali per i quali valga la pena vivere e talvolta morire; ha riempito persino quel vuoto originato da una politica che non sa più indicare obiettivi diversi dalla propaganda o dalla gestione impulsiva del presente, né traiettorie alte verso cui tendere.

  Chiesa troppo “in uscita” verso le “periferie”? Ma se il compito della Chiesa è quello di evangelizzare, come potrebbe svolgerlo arroccandosi dentro le sue mura?

  Pontefice troppo “contaminato” dai non credenti? Ma se il suo mestiere è quello di “pontes facere”, come sarebbe possibile praticarlo, se non costruendo relazioni, che poi sono la ricchezza vera degli uomini?

  Per consentire la progressione della sua Chiesa nella storia del mondo,  protesa verso la salvezza, lo Spirito Santo dopo Francesco ha voluto come guida Papa Leone XIV. Ha ispirato ai cardinali elettori una scelta calibratissima che, mentre coglie il punto d’intersezione tra l’asse delle ascisse e quella delle ordinate nei dinamismi della Chiesa di Roma, illustra in maniera eloquente l’universalità della Chiesa cattolica.

  Sentiremo spesso – è presumibile – classificare le scelte di Papa Prevost secondo le categorie terrene di una politica che, peraltro, cambia i suoi rappresentanti istituzionali ogni quattro o cinque anni. Fa niente. Sarà più interessante, almeno per noi, affidarci alla guida di un Pastore che nelle sue prime parole ha parlato di Pace, in un modo tale da sollecitare a tutti e a ciascuno l’iniziativa atta a raggiungerla. Un Pastore che ci ha avvisati subito che a considerare Gesù solo come un leader carismatico, o un superuomo, si finisce per vivere in un ateismo di fatto. Che urge la missione, perché “la mancanza di fede porta spesso con sé drammi quali la perdita del senso della vita, l’oblio della misericordia, la violazione della dignità della persona nelle sue forme più drammatiche, la crisi della famiglia e tante altre ferite di cui la nostra società soffre e non poco”.

  E sarà bello seguire le orme del Pontefice americano, che già si mostrano in Calabria, a Rossano, dove l’allora Superiore Generale degli Agostiniani padre Robert Francis Prevost incoraggiò e inaugurò – era l’estate 2009 – l’unico monastero femminile intitolato al vescovo d’Ippona. 

C’è tanto, di S. Agostino, nella spiritualità del beato Francesco Mottola. Il detto agostiniano “Noli fora ire, in te ipsum redi, trascende te ipsum” viene considerato la sintesi dell’ “itinerario sacro” del Beato e della sua famiglia oblata. È la vicenda mottoliana tout court – come rivelano le Faville della lampada a cura di Ignazio Schinella,  nell’ Opera Omnia degli scritti di Don Mottola pubblicati dalla Fondazione – a risentire molto del primato della grazia, dell’inqiuetum cor e delle Confessioni di chi è considerato ancora oggi l’autentico maestro dell’Occidente.

  E se fosse Leone XIV il Papa della canonizzazione del sacerdote, Beato di Tropea?