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Una riflessione per Parva Favilla del Presidente nazionale dell’Azione Cattolica

Artigiani di pace per una nuova cultura dell’incontro e del dialogo

L’Europa, oggi, è un continente in bilico, stretto tra la speranza di un’unità sempre più solida e la minaccia di nuove divisioni. Mentre il mondo intero è pienamente coinvolto in una “terza guerra mondiale a pezzi”, come la ha spesso definita Papa Francesco, l’Europa è continuamente attraversata da tensioni interne agli stati e conflitti che spingono ai suoi confini. Il multilateralismo, un tempo pilastro delle relazioni internazionali, appare oggi fortemente indebolito e in crisi, e la geopolitica inaugurata dal presidente USA sempre fare un passo indietro con la logica delle sfere di influenza.

GIUSEPPE NOTARSTEFANO
Presidente Azione Cattolica

È proprio questo il tempo di far risuonare il desiderio di pace che alberga nel cuore di tutti gli uomini e le donne di buona volontà che oggi si impegnano quotidianamente per lavorare ad una società più giusta, inclusiva e accogliente, lavorando sui conflitti e scommettendo su una nuova fraternità possibile e sull’amicizia sociale. Disuguaglianze e guerre vanno di pari passo con la sfida climatica, ambientale e sanitaria che non può essere dimenticata: ambiente e società si degradano insieme, come ci ricorda la visione dell’ecologia integrale.

Le due encicliche “Laudato si'” e “Fratelli tutti” continuano ad essere per credenti e non una straordinaria piattaforma per orientarsi e contribuire attivamente alla costruzione di un futuro di pace. Ma la pace richiede un impegno quotidiano e artigianale, un lavoro incessante che coinvolge tutti gli ambiti della vita sociale delle organizzazioni e delle istituzioni. Rimane sempre fondamentale ripensare una nuova architettura rilanciando il ruolo degli organismi internazionali che, come auspicato anche nella esortazione apostolica “Laudate Deum”, devono diventare più inclusivi e capaci di integrare la voce dei cittadini e delle loro organizzazioni: sono necessari spazi di conversazione, consultazione, arbitrato, risoluzione dei conflitti, supervisione e, in sintesi, una sorta di maggiore “democratizzazione” nella sfera globale, per esprimere e includere le diverse situazioni. Non sarà più utile sostenere istituzioni che preservino i diritti dei più forti senza occuparsi dei diritti di tutti (43).

La pace è una costruzione paziente che inizia dall’educazione. Ecco perché è necessario rilanciare il Patto educativo globale che costituisce una vera alleanza per la pace che scommette sul valore alto dell’educazione per lo sviluppo umano e per la promozione di una autentica giustizia sociale. Un’educazione che non si limita alle aule scolastiche, ma si estende alle famiglie, alle comunità, ai luoghi di lavoro. Un’educazione che insegna a dialogare, a superare i pregiudizi, a riconoscere nell’altro un fratello, una sorella. Dobbiamo riconoscere sempre che gli altri hanno diritto a essere come sono, a pensare come pensano, a esprimersi come si esprimono (FT, 218).

La pace non può fiorire in un terreno arido di disuguaglianze economiche e sociali; lo stiamo vedendo proprio in questi giorni nel tentativo di imporre degli accordi di pace non cercando però la via della giustizia, che inizia dal riconoscere una piattaforma e una narrazione condivisa dei fatti. Trasparenza e correttezza dell’informazione, nel tempo dell’Intelligenza Artificiale e delle bolle autoreferenziali dell’infosfera, costituiscono una condizione importante per costruire la pace. Così come lo è l’impegno nei confronti di un disarmo globale e verso una economia disarmata, proprio mentre ci rendiamo conto della necessità di un ripensamento dei sistemi di sicurezza nella logica della di una difesa non violenta, come nella esperienza profetica dei Corpi civili di Pace. E poi c’è la cura della casa comune, un impegno che non può essere rimandato. Tutto è connesso, per questo si richiede una preoccupazione per l’ambiente unita al sincero amore per gli esseri umani e un costante impegno riguardo ai problemi della società. (LS, 91). Un’Europa che consuma risorse in modo insostenibile, che non si impegna a sufficienza nella lotta contro i cambiamenti climatici, che non protegge la biodiversità, è un’Europa che ipoteca il futuro delle nuove generazioni. La Transizione ecologica avviata con Next Generation EU non può essere né rinviata né interrotta per cedere alla tentazione di egoismi di una generazione che non accetta la sfida della sostenibilità come possibilità di futuro per le nuove generazioni.

Non vorremmo che le guerre diventino un’occasione speculativa per una finanza impaziente che non si preoccupa di supportare una economia che riduce le disuguaglianze e promuovere settori di attività economica che investono sul capitale umano e relazionale.

Il Giubileo dovrebbe essere una grande occasione per interrogarsi e dovrebbe essere sottratto alla tentazione di turistificazione e dalla frenesia degli eventi, vivendo il tempo opportuno per riconoscere il tempo di una grande corale conversione degli stili di vita e delle scelte pubbliche, compiendo gesti di misericordia autentica come la remissione dei debiti e l’adesione ad uno stile non violento dei rapporti civili.

Rafforzare le istituzioni europee, ritrovare una via europea (e mediterranea) per lo sviluppo e la Pace è una sfida che i credenti devo accogliere e rilanciare attraverso la promozione i una cultura dell’incontro: parlare di “cultura dell’incontro” significa che come popolo ci appassiona il volerci incontrare, il cercare punti di contatto, gettare ponti, progettare qualcosa che coinvolga tutti (FT, 216).

(❋) Presidente Azione Cattolica