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Il Giubileo negli scritti di Don Mottola

“Andavo a Roma peregrinando come gli antichi romei…”

2025: un altro anno santo ordinario, ma anche straordinario, perché straordinario è il cambiamento d’epoca che sta avvenendo.

Che allegria quando mi dissero «andiamo alla casa del Signore!». Ed ora, davanti alla Porta Santa, possiamo dire: «i miei piedi si fermano alle tue porte, Gerusalemme».

Noi siamo in questo mondo nella condizione di migranti, esposti ai taglieggiamenti dei molti scafisti, ma abbiamo una guida, la vergine Maria Odighitria (“guida nel cammino”).

Questo anno santo del 2025 è particolarmente mottoliano, proprio perché è all’insegna della speranza. La nostra speranza è che si trovi presto una via d’uscita, un exitus Israel de Aegypto.

Per don Mottola ogni anno è un anno giubilare, come scrive nel suo diario nel 1937: gennaio 1937: «Ieri sera non ho potuto scrivere; ma stamattina, così come sono, disgregato e stanco, alzo, Gesù, la mia povera anima a te, per dirti che ti amo, per ripeterti che il 1937 voglio che sia per me un anno santo di redenzione piena, di piena attuazione dell’Ideale (Diario dello Spirito, p. 88).

Il primo giubileo di cui il beato parla nei suoi scritti è quello del 1925, a proposito dell’ingresso di don Ruffa nell’Arcipretura:

Nel novembre dello stesso anno Don Ruffa prendeva possesso dell’Arcipretura, mentre il popolo lo acclamava festante, lanciando al suo passaggio fiori, grano e rami di ulivo.

Egli nella sua prima predica di ringraziamento lanciò il suo programma: farsi tutto a tutti per tutti portare a Cristo.

Il 1925 era l’anno giubilare; il 1926 apertura dell’anno giubilare della sua parrocchia, lo preparò con un corso di predicazione tenuto da S.E. Mons. Vescovo e dal Rettore del Seminario Don Francesco Saragò (L’arciprete di Parghelia, p. 31).

Così commenta mons. Grillo nella sua esegesi del libro: «Don Mottola si riferisce all’anno giubilare che veniva celebrato, in tutte le parrocchie dell’Orbe, dopo quello celebrato nell’Urbe, una prassi durata fino al 1950. Il Ruffa vi profuse tutte le sue forze e perché desiderava dare come una spinta iniziale a tutta la sua opera apostolica e per venire incontro ai desideri della Chiesa e del Papa, cui era legatissimo».

Il 15 ottobre del 1933 il giovane sacerdote trentaduenne vive con entusiasmo il pellegrinaggio a Roma in occasione del Giubileo straordinario (XIX Centenario della Redenzione). Scrive perciò nel suo Editoriale di Parva Favilla (PF 9, 1939, n. 3, marzo):

Quando i Calabresi numerosissimi (nonostante la povertà della nostra gente) peregrinarono devotamente a Roma, Pio XI sentì i loro canti, ascoltò l’ansito dei loro cuori, vide nella loro anima e, nel discorso di ringraziamento per la visita alla Casa del Padre, disse per loro l’elogio più grande: «La Calabria è sempre la Calabria!» – la terra cioè dove arse ed arde perenne la fiamma di Paolo Apostolo.

Quando un piccolo, umile gruppo di Sacerdoti calabresi, sentì nel fondo dell’anima il tormento di quella fiamma là e volle portarvi il contributo povero, ma totalitario di un dono perfetto, nel voto d’ubbidienza ai Vescovi e nella povertà di Cristo, un Vescovo calabrese – figlio della Divina Provvidenza, si prostrò al Soglio Pontificale e chiese arditamente per gli “Oblati del Sacro Cuore” una benedizione al Papa  (Editoriali di PV, vol. 1, p. 109-110).

Nota a tal proposito mons. Milito: Probabilmente si accenna qui al pellegrinaggio calabrese del 15 ottobre del 1933, in occasione del Giubileo o Anno Santo Straordinario. Una rievocazione dei rapporti tra Pio XI e la regione, segue sullo stesso numero di PF, dopo l’editoriale, con il titolo “Il Papa e la Calabria”, a firma di GENA (pp. 1-2). All’editoriale segue un articolo dal titolo “Il Papa e la Calabria”  (Editoriali di PV, vol. 1, p.112).

Il 25 dicembre di quest’Anno Santo della Redenzione, le prime tre Oblate emettono i loro voti «nella cappellina delle Suore del Cottolengo» (Lettere circolari p. 4).

Ma ogni anno è per don Mottola un nuovo Anno santo, specialmente se è un anno tormentato, come il 1941, in cui egli è particolarmente sofferente (presenta al Vescovo le dimissioni da Rettore, dimissioni respinte) e scrive:

13 gennaio 1941. Tutto, o Signore, come al primo giorno del dono e con rovenza di amore più consapevole: questo 1941 che tanto dolore ha segnato nel suo inizio, deve essere il mio anno santo.

Ho quarant’anni: comincio ora, come se dovessi vivere ancora venti anni, come se dovessi vivere un giorno solo (Diario dello Spirito, p. 132).

Ma il Giubileo vissuto più intensamente è quello del 1950, come scriverà poi nel 1958: Per la morte di Pio XII: Tutti ci ricordiamo in questi anni di luce l’anno santo e l’anno mariano (PF 25, 1958, n. 10, ottobre, p. 1; vedi Editoriali di PF, vol. 2).  L’Anno Mariano fu celebrato nel 1954.

Il resoconto del pellegrinaggio a Roma è un capolavoro di sapienza:

Il profumo di Roma

Nella notte fonda, un grande alone di luce: è Roma – mi dissero – io recitai il Credo e l’anima divorò lo spazio più rapidamente del diretto in corsa.

Andavo a Roma peregrinando, come gli antichi romei: con l’anima in attesa, di trovar tra le pietre di Roma, più vicino l’eterno – perché dal Tevere passa la strada di Dio, dacché Cristo è romano. Salii in ginocchio la Scala santa, mi nascosi solo tra le arcate del Colosseo e piansi con l’anima in pena: nella pena immensa di non aver dato per Cristo una sola goccia del mio povero sangue.

Com’è triste parlare d’Amore, quando non s’è versato il sangue!

Ogni parola mi pare vanità retorica, se non s’alimenta del dolore vivo della carne franta e delle vene svenate.

Ero triste: sotto il cielo piovorno feci a piedi la via dell’Impero, tra il Colosseo dei Martiri e la gloria del Campidoglio – e là, nel cuore dell’Urbe, sentii il profumo di Roma: sintesi di umanità, cui sovrasta divina la Croce portata da Pietro, il Cristo romano.

Ora ogni pietra mi pareva sacra, ogni ricordo sacro, ogni storia sacra: perché ordinata a Cristo, che vive a Roma nel Papa.

Volli vederlo il Papa – e non lo sentii vicino, ma dentro, nella mia povera anima, come quando fondo eucaristicamente in unità questo mio cuore col cuore divino di Cristo.

Poi andai alle catacombe per conservare tra i morti che meglio comprendono e amano; sotto la terra che custodisce per il sole fecondo della primavera i germi vitali del seme; nell’umiltà la parola che sento nell’ anima viva, di Pietro – di Cristo romano (Faville della lampada, p. 80).

Un’altra eco di quell’esperienza ritorna in Faville della lampada, p. 142:

San Paolo:

Entrai nell’atrio di S. Paolo; una statua del Duprè mi guardava con fierezza e fermezza, anzi mi sogguardava.

Dette le preghiere del Giubileo, uscendo fuori, pregavo e pensavo. Al tramonto, che come allora, tingeva di rosso Roma eterna (cf. anche pp. 120-121).

Il Giubileo e la speranza da esso suscitata anima tutte le iniziative oblate, come risulta dalle Lettere circolari:

p. 37: Fratello,

giovedì 29 di dicembre, terremo la nostra adunanza Natalizia.

È la prima che teniamo nell’Anno Santo, appena incominciato; S. Tommaso Vescovo e Martire, sostenga la nostra fatica. ·

È di unità con la gerarchia ecclesiastica, e con la Chiesa divinamente costituita.

L’Anno Santo, apporti a noi sacerdoti ineffabili carismi, e ci consumi in unità col nostro santo Ideale.

Chi a questa accolta di anime non possa venire, si giustifichi. Il Padre con tutta l’anima vi benedice.

p. 39: L’Anno Santo importa un rinnovamento di vita sacerdotale, da effondere sui nostri fratelli oppressi. ·

Ma il problema massimo; per noi, è quello della preghiera –implorante dal Signore, ogni bene, ogni luce, e ogni forza; per potere fondere in unità i fratelli che aspettano. 

Questa esortazione, datata Tropea, 16 luglio del ’50, Festa della Madonna del Carmine, è particolarmente attuale oggi per tutti:

p. 97:  Figliuole, dobbiamo tornare alla nostra sorgente oblata.

È l’Anno Santo.

Non andare, ma tornare, perché purtroppo, non c’è più l’ardore di prima.

La nostra sorgente è sempre l’Assoluto, che è fede, speranza e carità.

L’esortazione del beato integra la “parola di speranza” offerta da papa Francesco nella bolla di indizione del Giubileo della speranza.

Spes non confundit.