A Mileto il Giardino della Speranza. Laudato si’ dedicato al Beato Rosario Livatino
Un giardino è il luogo pensato da Dio per l’umanità sin dall’inizio dei tempi: «Il Signore piantò un giardino in Eden, a oriente, e vi collocò l’uomo che aveva plasmato» (Gen 2, 8). Oltre ad essere questa una volontà del Signore è anche un destino per l’uomo; non a caso l’ebraico gan, “giardino”, è stato reso in “Paradiso”. Tanto che Adamo – secondo un midrasĉ ebraico – guardando a quest‟opera di Dio nei suoi riguardi, esclama: “Guardate che buona azione ha fatto il Signore: ha stabilito la mia ricompensa ancora prima che io cominciassi a fare qualunque cosa”.
La stessa meraviglia si prova nell’ammirare il Giardino della speranza. Laudato sì realizzato presso la Curia vescovile di Mileto per volere del Vescovo Mons. Attilio Nostro, inaugurato nella mattinata dell’11 ottobre scorso e felicemente dedicato al magistrato Rosario Angelo Livatino, martire della giustizia e della fede assassinato il 21 settembre 1990 dalla “Stidda”, organizzazione criminale siciliana di tipo mafioso, e beatificato il 9 maggio 2021 da Papa Francesco.

Numerose le autorità civili e militari convenute per l’occasione, perché ispirate da un così alto modello di dedizione e servizio a favore della giustizia, qual è il giudice Livatino. Il Procuratore della Repubblica Camillo Falvo, che insieme a Mons. Nostro ha svelato i busti bronzei del Beato Rosario Livatino e di San Francesco di Paola collocati al centro del giardino, opere del maestro scultore Michele Zappino, si è detto commosso perché «Rosario Livatino è l‟esempio per noi magistrati, una questione identitaria, è un modello tutte le volte che facciamo il nostro lavoro. Non dobbiamo perdere la memoria per essere ispirati all’onestà». Ma il ricordo e l’attenzione per il giudice Livatino vanno oltre la sua attività di magistrato, perché – come ha affermato il Prefetto della Repubblica di Vibo Valentia Paolo Giovanni Grieco – «ci dobbiamo legare al suo pensiero, orientato all‟unità tra la vita di fede e l‟impegno nella società civile».
Particolarmente intensa la testimonianza del Sostituto Procuratore di Caltanissetta al tempo dell’assassinio di Rosario Livatino, il dott. Ottavio Sferlazza, che ha voluto onorare anzitutto la coerenza del Beato giudice, in quanto «ha saputo interpretare sia il suo ruolo istituzionale sia la sua vita privata coerentemente coi principi morali che hanno ispirato la sua vita» e poi la sua statura morale: per Rosario Livatino è «nello scegliere per decidere, decidere per ordinare, che il magistrato credente può trovare il suo rapporto con Dio; un rapporto diretto perché il “rendere giustizia” è realizzazione di sé, è preghiera, è dedizione di sé a Dio. Un rapporto indiretto per il tramite dell’amore verso la persona giudicata». Il vero testamento spirituale di Rosario Livatino, ha continuato il dott. Sferlazza, è condensato in una sua citazione che racchiude tutto l’uomo e il magistrato: «Il magistrato, nel momento di decidere, deve dismettere ogni vanità e soprattutto ogni superbia. Deve avvertire tutto il peso del potere affidato alle sue mani, peso tanto più grande perché il potere è esercitato in libertà e autonomia. E tale compito sarà tanto più lieve quanto più il magistrato avvertirà con umiltà la propria debolezza, quanto più si rappresenterà ogni volta alla società disposto e proteso a comprendere l’uomo che ha di fronte, a giudicarlo senza atteggiamento da superuomo, ma anzi con costruttiva convinzione». La profondità di quest’uomo di fede e di impegno civile è sintetizzata dalla sigla che spesso si incontra nelle pagine delle sue agende: S.T.D. All’inizio lettere non decifrate e che anzi apparvero come uno spunto investigativo; Sub tutela Dei è la frase con cui Rosario Livatino esprimeva la necessità di operare sotto lo sguardo misericordioso di Dio e segnavano quindi l‟affidamento al Signore di tutto ciò che per lui aveva senso, dalla vita familiare, alle preoccupazioni per l’incolumità propria e altrui, fino alle incombenze di studio. Ma non solo. Ha significato per Rosario Livatino stare sotto la luce di Dio che deve rischiarare la mente del magistrato per giudicare senza superbia, cioè affidarsi a Dio con umiltà, riconoscendo la propria finitezza nella preoccupazione di commettere degli errori.

Rosario Livatino insomma ha unito insieme la testimonianza cristiana e la responsabilità civile. Di questa unione ha parlato Don Luigi Ciotti, fondatore di Libera, perché il Beato giudice ha avuto «la capacità di saldare il cielo con le responsabilità che noi abbiamo qui sulla terra». Un intervento infuocato quello di Don Ciotti, convinto che la morte di Rosario Livatino ha aperto anche nella Chiesa una breccia di speranza, significata dalla terza visita pastorale di Giovanni Paolo II in Sicilia. In quell’occasione il papà e la mamma di Rosario Livatino in un brevissimo incontro fecero leggere al Papa alcune pagine delle agende del giudice. E subito dopo, nella Valle dei Templi di Agrigento, il Papa ebbe a dire parole chiare e forti di amore e incoraggiamento alla terra siciliana, ma anche parole scomode e difficili rivolte ai mafiosi, invitandoli a convertirsi e cambiare vita. «Quel gesto e quelle parole – ha continuato Don Luigi Ciotti – mettono in difficoltà “Cosa nostra”. Lì nasce una linea di demarcazione, perché le parole del Papa da un lato chiedevano coraggio a coloro che lottavano, a quanti erano impegnati, e dall’altro smossero le coscienze di tante persone, anche di alcuni mafiosi, che si sono posti delle domande, degli interrogativi di fronte alle parole del Papa». Anche all‟uomo di oggi deve essere detto con forza che alla fine della vita non gli sarà chiesto se è stato credente, ma credibile: «dobbiamo impegnarci di più per la giustizia, per la libertà e la dignità di tutte le persone, perché il cristiano non può restare in disparte di fronte alle ingiustizie. Ci sono dei momenti della vita in cui tacere diventa una colpa e parlare diventa un obbligo morale, una responsabilità civile, un imperativo etico», ha concluso Don Ciotti presiedendo poi la benedizione del nuovo giardino.
Davvero Rosario Livatino è stato un uomo che ha santificato il nome di Dio e del quale Dio ha santificato la vita, come ha concluso il Vescovo di Mileto-Nicotera-Tropea, Mons. Attilio Nostro. E come non avvertire nell’esperienza del Beato Livatino la risonanza della fede convinta del Beato Francesco Mottola: «Io credo in Dio, per ragione ragionante, per fede ex audito, per misticità di amore. Perché tutto si sintetizza nell‟amore. Ma l‟anima deve essere purissima, d’una purezza angelica, verginalmente serena, con uno sforzo inesausto del più perfetto, di vivere d’idea – per l’Idea. Con l’idea, vado all’Idea suprema di Dio, al Logos divino, a quel che Agostino chiama Verbum mentis. Con l‟aiuto della fede, io so che il Verbo di Dio si è fatto carne per amore di noi. Io voglio dare l’anima e il corpo, come sintesi dell’essere al fine, cioè tutto l’essere per chi l’ha creato, perché il fine vale più dell’oggetto, come mezzo al fine, per il trionfo della Croce e dell’Amore, cioè di Cristo, in un’anima – anche in un’anima sola! Maran-Hata! Amen! (F. MOTTOLA, «Vita veramente vita», in Itinerarium mentis, 19-21).
E questa Idea può avere ora un luogo, un giardino, un giardino di speranza!