Pierfranco Bruni ha presentato a Capo Vaticano il suo volume sullo scrittore de "Il male oscuro"
“La gloria” di Giuseppe Berto? “Non è un libro eretico”Pierfranco Bruni scrittore, poeta, italianista, critico letterario, nativo di San Lorenzo del Vallo (Cs), vive tra Roma e Taranto, quando non si trova altrove, spesso all’estero, per i suoi numerosi impegni. Ha pubblicato diversi testi sulla cristianità in letteratura. Ricopre incarichi istituzionali per la promozione della cultura e della letteratura nei paesi esteri. Ma torna spesso, e più che volentieri, nella sua Calabria.

Lo incontriamo a Capo Vaticano, a Casa Berto, dove, presentato da Valeria Bonacci, conversando col giornalista Antonio Armano ha presentato il suo ultimo libro dedicato proprio allo scrittore veneto che della Calabria ha fatto la sua terra adottiva e, nella sua pinnata a picco sul mare, ha concepito i suoi capolavori.
Che effetto le fa tornare nella casa dove Giuseppe Berto ha scritto “Il male oscuro”?
Una grande emozione, perché mi fa capire il luogo nel quale lui ha vissuto. E il luogo anche attraverso il quale, quel linguaggio sperimentale, sintetico, ma sostanzialmente ricco di una grande tradizione sentimentale, ha dato il via poi alla nuova capacità formativa della letteratura italiana. È un segno proprio importante questo, perché pensare che un capolavoro come “Il male oscuro” sia stato scritto tra questi alberi, in questo vento di Capo Vaticano con il mare di fronte, significa che questa regione, questo territorio è fatto non soltanto di rappresentazione reale ma di grande poesia, di grande poeticità.

“La Gloria” è considerato il libro “religioso” di Giuseppe Berto. Con quali annotazioni?
Perché in questo romanzo Berto ha avuto il coraggio di mettere a confronto, ma dal punto di vista narrativo, e da laico, Giuda e Cristo. Noi avevamo avuto prima Diego Fabbri, Mario Pomilio con Il quinto evangelio, c’erano tanti scrittori che si erano confrontati con la figura di Giuda, con quella di Pilato, col Cristo; ma Berto riesce a creare questo dialogo diretto con Cristo e Giuda. E fa dire a Giuda: “Perché hai fatto in modo che io ti tradissi?”. E questa è l’antica domanda, non è la domanda che noi conosciamo sempre (il “Che cos’è la verità?” di Pilato). Con Berto, Giuda dice proprio questo: “Perché hai voluto che io ti tradissi?”, non “Che io scegliessi te”, ma “Perché hai voluto il tradimento?”. E quindi, volendo il tradimento, hai creato il sentimento della croce. Questo, è un fatto fondamentale, perché con il sentimento della croce inizia la resurrezione ..
Può considerarsi ancora un libro “eretico”, in ambito cattolico, “La gloria”?
Assolutamente no, perché – dopo diversi Concili, dopo diversi dibattiti … – è un libro di letteratura, non è un libro teologico, quindi bisogna lasciare anche un po’ di finzione, di fantasia allo scrittore. Ma poi è scritto così bene, ha dato il segno proprio vero di come uno scrittore pensa e scrive. Quindi quella forma di eresia la quale era stata affibbiata a Berto nel 1978 e nel 79 adesso non esiste più. A mio avviso “La gloria” è un classico della letteratura italiana.

Adesso un suo libro (“Pierfranco Bruni, Giuseppe Berto, Tutto ha la sua ora ” – Ed. Solfanelli) su Giuseppe Berto. Come nasce?
Bé, io ho sempre amato Berto, dagli anni 70-72. Ho conosciuto Berto quando ero un ragazzino, al cinema, con “Anonimo veneziano”. Poi ho avuto modo di conoscerlo direttamente nel 1977 insieme a Francesco Grisi, a Roma, alla Libreria Croce. E poi ci sono stati tanti grandi episodi che mi hanno fatto innamorare di lui. Anonimo veneziano è legato proprio alla mia giovinezza, a quegli anni spensierati, quindi quel senso dell’amore, quel senso del tragico, della morte, mi ha sempre seguito, forse l’ho letto … chissà quante volte. E poi La gloria, racchiude un tema che continua ad affascinarmi, perché io ci sono dentro questa problematica, dentro questo tema. Voglio sottolineare un fatto: io ho scritto l’ultimo capitolo di questo libro l’anno scorso a Capo Vaticano, di notte, stando a Capo Vaticano, ho ripensato a Berto, tant’è che il capitolo s’intitola “Da Capo Vaticano a Berto”.
Cosa dà, oggi, la lettura di Giuseppe Berto?

Ci fa capire, a mio avviso, come il romanzo sia cambiato dal punto di vista letterario, ma anche come l’uomo abbia vissuto un percorso transitivo. Perché il senso de “Il male oscuro”, il senso della depressione, come era considerata – ci riferiamo alla metà degli anni ’60 – in quegli anni, soprattutto con le cure, con le terapie (entriamo nel cuore di questo romanzo) è cambiata completamente. Quindi una valutazione anche dal punto di vista scientifico se vogliamo, ci mette davanti ad un confronto tra l’uomo e la depressione. L’elettrochoc come si usava dire negli anni ’60 non esiste più, esiste una terapia, esiste la psicanalisi, Berto è stato uno dei primi che ha vissuto la psicanalisi freudiana, attraverso un grande personaggio, un medico di Roma di quei tempi. Quindi questo è un grande insegnamento, una grande testimonianza.
Ma poi ci sono altri aspetti, ad esempio ne Il brigante, il superamento di questo realismo, ed anche il suo contesto che è prettamente calabrese, perché Il brigante è un libro che dà il “la” poi alla figura e alle opere di Leonardo Sciascia. Quindi tutto questo rappresenta ancora oggi una testimonianza del passato, ma anche una testimonianza di come si è evoluta la lingua, come si è evoluta la letteratura e soprattutto di come non esistono più e non devono esistere più gli schemi ideologici. E Berto li aveva superati, questi schemi ideologici.

Giuseppe Berto ha voluto essere sepolto nel cimitero di San Nicolò di Ricadi, due passi dalla “sua” Capo Vaticano.
Vuol dire che amava molto questa terra. Aveva subìto una metamorfosi: si era metamorfosizzato all’interno di questa terra, quindi tutto questo contesto ha assunto una valenza profondamente – come dico nel libro – antropologica: àntropos, entrare nella terra di un uomo, capire il senso della civiltà di questa terra, capire il senso di una volontà. E il mare di fronte, significava riportarlo alla sua Venezia, quella Venezia che lui aveva vissuto da ragazzo, e qui vede l’acqua: la metafora dell’acqua è un segno tangibile di come si possa legare mare e terra insieme.