“Gioacchino da Fiore e la Bibbia”: la Calabria della Cultura che parla al mondo
Il X Congresso Internazionale di Studi Gioachimiti, svoltosi nella Chiesa Abbaziale Florense di San Giovanni in Fiore dal 19 al 21 settembre 2024, è stato uno straordinario evento culturale, con una grande attenzione nazionale e regionale.
In cinque intense sessioni di studio i relatori, provenienti da Università e Centri culturali internazionali, hanno approfondito dal punto di vista storico la tematica “Gioacchino da Fiore e l’esegesi nel suo tempo”, e secondo una prospettiva teologica e filologica, fatto emergere i temi esegetici nelle opere dell’abate calabrese, restituendo la figura di Gioacchino da Fiore monaco-teologo.
È stato come un sussulto di orgoglio, quello di far emergere la Calabria della cultura che parla al mondo: la Calabria della cultura al centro degli studi medievistici internazionali.
Il Decimo Congresso Internazionale di Studi Gioachimiti ha affrontato una questione centrale per la conoscenza di Gioacchino da Fiore. Pensatore fra i più originali di tutto l’Occidente – afferma il direttore del Comitato scientifico, Gian Luca Potestà -, l’abate calabrese si caratterizza per lo sforzo di trovare una chiave che permetta di chiarire il senso e la direzione della storia, intesa come “luogo” del progressivo manifestarsi del disegno divino.
Lo sguardo dell’abate calabrese si distende dal passato al futuro. Prima e dopo essere celebrato da Dante come “di spirito profetico dotato”, molti lo hanno considerato profeta, consultato e ascoltato come tale già da Papi e sovrani del suo tempo. In verità, l’abate Gioacchino rivendicava piuttosto lo “spirito di intelligenza”, inteso come capacità di comprendere a fondo la Scrittura e decifrarne i misteri. In essa riteneva di trovare la spiegazione dei conflitti presenti e le ragioni per confidare in un futuro migliore. I racconti biblici sono intesi da Gioacchino come precisa e puntuale prefigurazione di quanto è avvenuto e ancora deve avvenire nel corso del tempo. Letta alla luce della Bibbia e nel suo specchio anticipatore, la storia realizza ed invera il significato più profondo di quei racconti.
Gioacchino da Fiore è l’ultimo campione di una teologia che vive e si alimenta attraverso il confronto personale e diretto con le Scritture, lette in chiave simbolica e attraverso il ricorso a procedimenti esegetici complicati e molteplici.
L’abate è sul crinale tra due mondi: il suo è il mondo delle abbazie, dei monaci e della teologia simbolica; ma già avanza e preme il mondo delle scuole, dei nuovi Ordini religiosi e delle Summe, opere organizzate secondo il nuovo metodo “scientifico” e i cui contenuti sono tematicamente imposti dal confronto con le opere aristoteliche.
I precedenti Congressi sono stati dedicati alla sua figura, all’impresa monastica, alle opere autentiche e pseudoepigrafiche e al lascito profetico e apocalittico, imperniato sull’attesa del tempo dello Spirito e variamente ravvivato fino all’Età contemporanea. Il Decimo Congresso ha affrontato in prospettiva storica e filologica, teologica ed esegetica le questioni fondamentali relative a Gioacchino interprete del “grande codice” biblico, da cui tutta la sua visione trae ispirazione e vigore. Di quale versione della Bibbia disponeva? Quali i libri dell’Antico e del Nuovo Testamento cui rivolse maggiore attenzione? Quale il suo metodo interpretativo, quali le predilezioni e gli accenti originali rispetto a scuole e orientamenti precedenti e contemporanei? Questioni di cui hanno trattato una ventina di studiosi notoriamente qualificati nel vasto e fiorente campo degli studi internazionali sulla Bibbia nel Medioevo, i cui interventi saranno preso pubblicati negli Atti del X Congresso.
L’appuntamento quinquennale del Congresso è stato idealmente introdotto da Papa Francesco il quale, tre settimane prima, ha citato proprio Gioacchino da Fiore nel suo “Messaggio per la giornata mondiale di preghiera per la cura del creato” dell’1 settembre 2024. “Mi piace ricordare – ha scrittoinfatti il Pontefice – quel grande visionario credente che fu Gioacchino da Fiore, l’abate calabrese <<di spirito profetico dotato>> secondo Dante Alighieri: in un tempo di lotte sanguinose , di conflitti tra Papato e Impero, di Crociate, di eresie e di mondanizzazione della Chiesa, egli seppe indicare l’ideale di un nuovo spirito di convivenza tra gli uomini, improntata alla fraternità universale e alla pace cristiana, frutto di Vangelo vissuto.
Questo spirito di amicizia sociale e di fratellanza universale – ha spiegato ancora Papa Bergoglio – ho proposto in Fratelli tutti. E questa armonia tra umani deve estendersi anche al creato, in un ‘antropocentrismo situato’ (cfr Laudate Deum, 67), nella responsabilità per un’ecologia umana e integrale, via di salvezza della nostra casa comune e di noi che vi abitiamo”.
In una lettera indirizzata al Presidente, il Sommo Pontefice aveva assicurato “un ricordo nella preghiera per tutti i collaboratori del Centro Internazionale di Studi Gioachimiti, affinché possano vedere coronati di frutti positivi gli sforzi dispiegati in favore della diffusione del pensiero di Gioacchino da Fiore”.
Nel corso di precedenti incontri avuti in Vaticano, una delegazione del Centro aveva donato a Papa Francesco la “Concordia del Nuovo e dell’Antico Testamento” e il “Libro delle Figure”.
L’ edizione degli scritti autentici dell’abate calabrese, promossa dal Centro Internazionale di Studi Gioachimiti, è un’operazione culturale storica che ha aperto finalmente la strada a una nuova, e più genuina, interpretazione della figura di Gioacchino da Fiore.
La storia dell’umanità, in definitiva, per Gioacchino è storia della salvezza. Sull’intero corso dei tempi del Vecchio e del Nuovo Testamento domina la Trinità: il Padre, autore di tutte le cose; il Figlio che si è degnato di condividere il nostro fango; lo Spirito Santo, di cui dice l’Apostolo “Dove c’è lo Spirito Santo ivi è la libertà”.
Per Gioacchino da Fiore, l’Età dello Spirito Santo non rimpiazza l’Età del Figlio, ma la porta a compimento dall’interno.
L’abate florense è “lo storiografo dello spirito” che legge una visione adeguata del presente e prospetta l’ordito provvidenziale della prossima età salvifica.
Gioacchino è l’interprete dell’Apocalisse, rivelazione di Cristo a Giovanni e profezia di Giovanni alla Chiesa. Nell’ Apocalisse sono enigmaticamente rappresentati gli eventi passati, annunziati quelli futuri, descritte l’apertura delle cose sigillate e lo svelamento di quelle nascoste. L’ Apocalisse è in parte già racconto, in parte rimane profezia.
La speranza di Gioacchino da Fiore non era una utopia, una fuga in avanti verso l’immaginario, ma un progetto di riforma profetica della cristianità; ed il profetismo è il dibattito della Parola di Dio che con le parole condiziona pesantemente della storia.
Abbandonate le antiche polemiche sulla sua ortodossia, è ormai evidente che l’abate calabrese incarnò una istanza riformistica peculiare all’interno del mondo monastico del secolo XII , tesa verso un ritorno a una primitiva purezza in maniera del tutto inseparabile dal grande tronco dell’ ordo sancti Benedicti, dal quale erano già derivate le riforme di Cluny e di Citeaux.