Luoghi di Speranza
C’è un luogo che è un contenitore di sentimenti, di esperienze vissute, di incontri di persone che si sono trovate in ruoli diversi, da fruitrici delle attività svolte o da operatori per renderle possibili. Uno dei tanti luoghi dove domanda e offerta si incontrano. Si svolgono attività lavorative alle quali si aggiunge però una proposta. Questa chiede di scegliere, a chi ricopre le mansioni lavorative, da che parte stare. Richiede di schierarsi nel rendere servizio agli altri, chiama a diventare strumenti per rinnovare buoni propositi, indicati da Chi scelse, per un sentire profondo, di rimanere con gli ultimi fino a consumarsi, che accolse i bisognosi in ginocchio riconoscendo il Cristo crocefisso. È un luogo che per i trascorsi di Chi lo ha pensato e ardentemente voluto, per chi ci è stato a prestare opera e per chi ci ha portato il proprio dolore, permeato di sacralità. Qui ha preso vita un progetto che è più grande delle capacità e della volontà di chi ci si applica. Un progetto spesso che ha sovrastato le capacità umane, ma che è arrivato fino ad oggi tra mille prove grazie alla dedizione di tanti, soprattutto donne. Senza enfasi, ma con normale attuazione di una quotidianità silente che nel servizio agli altri ha trovato la propria ragion d’ essere per generare Speranza. È giunta a noi la narrazione di chi fu presente fin dagli inizi. La Fede che mosse tutto e il ricorso alla Provvidenza, che per il tramite di tanti benefattori, sancì, ben 68 anni fa, l’inizio di questa esperienza. È un luogo di buoni intendimenti dove si alternano entusiasmo, positività a prese d’ atto del dolore umano. Il dolore si coglie nell’ attesa della mamma, davanti alla terapia intensiva presso l’ospedale di Vibo, che la sua Noemi risponda alle cure perché finalmente un chirurgo coraggioso interviene per impiantare la PEG. Servirà per l’alimentazione e somministrazione dei farmaci. Il dolore è sul viso della mamma, che in Cattedrale a Mileto, accompagna la sua Emanuela nell’ ultimo viaggio terreno o lo si legge nello struggente post social della mamma di Giulia che dedica “A tutte le mamme che, nel silenzio, continuano a chiedersi “perché proprio a mia figlia?”. Alle mamme che, durante la loro gravidanza, accarezzavano il loro pancione e sentivano che tutto andava per il meglio. A chi come me, appena avuto la piccola fra le braccia, ha contato tutte le dita delle manine e dei piedini, come se quel numero dieci, potesse garantire la perfezione della nostra creatura. Alle mamme che ogni giorno studiano o applicano strategie per colmare “il vuoto” dei loro figli. A chi a volte ci riesce e a volte no. Alle mamme che sbattono il muso contro l’ignoranza, l’insensibilità, la grettezza, la superficialità, l’egoismo, la distrazione, la superiorità, la cattiveria della gente. Alle mamme che hanno accettato i propri figli. A chi fa ancora fatica, perché l’idea del “per sempre” non riesce a maturare nella loro mente…”.
Accadimenti degli ultimi due giorni
Questo luogo è la Casa della Carità di Vibo Valentia dove si decise che sarebbe stato accolto il bisogno di coloro che avessero difficoltà ad essere completamente autonomi. La società che è diventata sempre più nevrotica e frenetica non concede tempo. Ha fatto dell’andamento lento quasi un luogo mentale di controtendenza, alcune volte snob e modaiolo. In questo luogo, invece, nessuna moda, qui da sempre, declinando risposte compatibili, fu deciso di restare al passo di chi portava le proprie esigenze, il proprio dolore, la richiesta d’aiuto, scandiva la propria vita con tempi propri. Chi con carisma trascinò ed entusiasmò al fine di realizzare questo luogo pose al centro dell’attenzione il dolore, il servizio agli altri la risposta, generò Speranza e indicò di rigenerarla. “Ogni momento del vostro tempo donatelo all’ ideale”, lasciò detto. Questo è il fine, null’ altro deve essere.
Ed oggi siamo chiamati a scegliere di rinnovare l’attenzione, la vicinanza, la fraternità, la Speranza appunto, l’aiuto agli altri mettendoci in discussione, confrontandoci con esperienze altre, fermandoci, facendo silenzio, soprattutto ascoltando per comprendere, prima di agire, su come sia possibile dare risposte.
Le diagnosi mediche, già acquisite, accompagnano genitori frastornati. Nessuno di noi, prossimo alla genitorialità, ha lasciato molto spazio alla possibilità che il proprio nascituro potesse avere problemi. Davanti a tali esperienze genitoriali di accettazione, elaborazione, dedizione totale ti senti piccolo piccolo. Senti forte la responsabilità di esserci e sperare di poter partecipare all’ impegno per dare risposte. Poter gioire quando arriva un segnale di miglioramento dei più piccoli, di quelli che sono arrivati piccoli e sono cresciuti in questo luogo, di quelli per cui non si sa come andrà a finire. Vicini a coloro ed ai familiari, che nella solitudine amplificano il proprio dolore che non è solo fisico, ma ancor di più mentale, di prostrazione e desolazione perché la Speranza viene meno. Pensare che tutto sia facile e bello rischia di far scivolare nella retorica narrativa. Facendoci vicini però si sente l’afflato fraterno e la condivisione umana della condizione vissuta assieme, si genera Speranza, si sminuisce la solitudine, si combatte il tarlo del dolore. La condizione personale resta tale e capita che non la si riesca a comprendere fino in fondo o a poter immaginare quale la giusta risposta. Senza proclami e nello scorrere giornaliero allora nutriamo la Speranza che la mamma di Giulia si senta meno sola, quella di Noemi senta la nostra Speranza a rivederla presto, la mamma di Emanuela sappia che ci abbiamo provato. Vedere i progressi di tanti per i quali le premesse erano a dir poco drammatiche, perché non avrebbero parlato, camminato è incoraggiante. Questo alimenta Speranza che l’impegno, la dedizione, la professionalità di chi presta la propria opera, giorno dopo giorno, raccolga risultati tangibili. Sono le storie di Marco, della piccola Emily potuta entrare in terapia perché Nicola, adulto in riabilitazione dopo un incidente sul lavoro, ha pensato che fosse più importante cedere le proprie ore a favore di un piccolo. Nicola era consapevole che nella precocità della riabilitazione un piccolo ci sarebbe stata la Speranza di un maggiore recupero. E sono le storie di Domenico che pretende che siamo in tanti a fare riabilitazione con lui, l’altra piccola Giulia che ha iniziato a sorridere e a chiamarci, i due Salvatore che scorrazzano con il triciclo nei corridoi, i sorrisi di Alfredo, di Peppe e quelli di Valeria, di Franceschina, le preferenze musicali di Pasqualino, gli sguardi e gli abbracci di Nemuel, di Gaia, di Clara, di Bruno dei tanti che giornalmente arrivano alla Casa della Carità, sono circa trecento alla settimana. La tanta umanità che scorre in quel luogo da’ Speranza che tutto questo valga la pena di essere vissuto e sprona affinché’ si debba fare di più. È l’accettazione di stare assieme con le nostre differenze, è perché abbiamo Speranza che un’altra strada da percorrere ci sia ed è indicata da Chi viene da lontano.
Ma siamo chiamati anche ad uscire da questo ambito. Se si alza lo sguardo e si valicano le mura, ci si tuffa sul bisogno del territorio, quello che parla di sette lunghi anni di attesa per iniziare le terapie a chi non ha la possibilità di sostenere le cure al proprio figlio, rischiando che sia troppo tardi l’intervento riabilitativo perché l’assegnazione dei posti in convenzione con il Sistema Sanitario è contingentato. E non c’è mai fine a dover dare Speranza, ad uscire da quella che potrebbe diventare una zona di confort, che rischia di compiacerci di ciò che si riesce a fare. È qui la necessita di guardare oltre e buttare cuore, cervello, braccia e quanto altra serva a portare Speranza, oltre l’ostacolo per comprendere e rispondere ai tanti bisogni vitali di chi convive con le proprie difficoltà, con i propri ritmi e necessità che rischieremmo di non incontreremmo mai.
Ed è così che si è anche pensato di cogliere il grido dall’ allarme, perché nessuno rimanga indietro, facendo i conti con le forze disponibili a dare supporto, nelle routine terapeutiche per il recupero sperato e la riabilitazione, a chi ha ne bisogno e non può aspettare sette anni o non può permettersi economicamente le cure. È Speranza condivisa, è Speranza di inclusione. Si è pensato ad una proposta allargata, sociale, quella della Terapia Sospesa. Una richiesta di compartecipazione a sostegno delle terapie per i bambini e ragazzi le cui famiglie hanno difficoltà a dare continuità alle cure. Un minimo apporto economico ed il resto lo metterà la Casa della Carità, si troverà il modo. Si propone di fare una donazione per un’ora di terapia acquisendo l’usanza napoletana di lasciare pagato un caffè, sospeso, a chi non potrebbe permetterselo. La scelta della Terapia Sospesa è stata una presa d’ atto di concrete esigenze primarie, vitali, nei confronti delle quali non ci si poteva girare dall’ altra parte. Ha rappresentato non solo il richiamo ad essere partecipi con un gesto economico per sostenere la riabilitazione. Ha richiamato la “questua “di Mottoliana memoria ed ha anche reso partecipi di una problematica nella quale, se non ci si imbatte, potrebbe non essere colta : sette anni di attesa per ricevere terapia riabilitativa a chi non potrebbe permettersela! Ha dato e continua a dare la possibilità a chi vuole di sentirsi partecipe, anche solo umanamente, assumendosi responsabilità, facendo germogliare Speranza. Speriamo di riuscire a fare sempre di più, speriamo di coinvolgere quanti vorranno fare un pezzo di strada assieme per raccogliere la gioia che ritorna solo se il servizio è reso agli altri.
La Speranza è un profondo sentire che anima questa quotidianità.