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Nel Duomo di Tropea la Messa celebrata dal vescovo Nostro per il quarto anniversario della beatificazione di don Mottola

“Padroni di noi stessi e servi della felicità altrui”

Il vescovo diocesano, mons. Attilio Nostro, nel Duomo di Tropea presiede la celebrazione per il quarto anniversario della beatificazione di Don Francesco Mottola.

  Un focus sulla grazia che Dio effonde, e sull’eucarestia che è rendimento di grazie. Questo, l’argomento che il vescovo di Mileto, Nicotera e Tropea ha scelto per la sua omelia, durante la Messa con la quale nel Duomo tropeano è stato celebrato il quarto anniversario della beatificazione di don Francesco Mottola. “Don Mottola – ha detto mons. Attilio Nostro – si è fatto guidare da questo binomio: la grazia di Dio che ha chiesto incessantemente, e l’azione di grazie dell’eucarestia, quella fonte vitale dove don Mottola ha trovato sempre la sua forza, la sua fonte segreta, il mistero di quella perseveranza di cui parlava la seconda lettura (2 Tm 2,8-13): se noi perseveriamo, il Re viene! Ma questa regalità – ha aggiunto il presule –  è una regalità su noi stessi, non sugli altri. Provate a pensare tutte le volte che noi manifestiamo una non-padronanza dei nostri pensieri, delle nostre azioni, delle nostre parole. Molte volte non siamo padroni di noi stessi. E così – ha spiegato il vescovo – non riusciamo ad essere servi della felicità altrui, come lo è stato don Mottola. Per essere perfetti, come il Padre è perfetto, bisogna diventare padroni di noi stessi, re di noi stessi, e servi della felicità altrui. Soltanto così, diventando re e servi, si diventa davvero felici, come don Mottola. «Beato» è infatti un termine che spesso noi traduciamo come «felice»,  ma in realtà equivale al greco «makàrios» che indica chi sta in sìncrono con il kairòs di Dio, con l’azione di grazia che Egli compie.

Il beato Francesco Mottola (1901-1969) attorniato da bambini alla Casa della Carità della Marina di Tropea.

Allora – così mons. Nostro ha concluso l’omelia –  il Vangelo di oggi (Lc 17,11-19) ci dà proprio l’occasione di dire: Signore, fa’ che il mio cuore, fa’ che le mie mani, i miei pensieri siano in sìncrono che le tue parole, con i tuoi pensieri, con le tue azioni, e allora sarò veramente beato”.

  Nel saluto rivolto al termine della Messa, il Fratello Maggiore dei Sacerdoti Oblati ha ringraziato il vescovo mons. Attilio Nostro “che proprio sotto la protezione del nostro Beato – ha ricordato don Francesco Sicari – quattro anni fa iniziava il suo ministero episcopale nella nostra Diocesi.  Dopo aver citato le lettere circolari nelle quali don Mottola ribadiva ai sacerdoti oblati che «siamo a servizio della Chiesa, dobbiamo seguire il Papa e i Vescovi con unità di intenti di passione», don Francesco ha richiamato il pellegrinaggio a Roma nei giorni scorsi di un gruppo di oblati e oblate del Sacro Cuore per il Giubileo della Vita Consacrata.

Don Francesco Sicari, Fratello maggiore dei Sacerdoti Oblati del Sacro Cuore, saluta il vescovo Attilio Nostro al termine della Messa a quattro anni dalla beatificazione di don Mottola.

Ci siamo sentiti confermati – ha affermato il sacerdote oblato – nel nostro cammino di sequela di Gesù e di servizio nella Chiesa anche dalle parole di Papa Leone che nell’omelia della messa ha così affermato: «Abbiate  slanci generosi di carità, come è avvenuto nella vita dei fondatori dei vostri istituti, uomini e donne innamorati di Cristo e per questo pronti a farsi “tutto per tutti” (la frase di don Mottola!), senza distinzioni, nei modi e negli ambiti più diversi». Confortati dall’esempio dei nostri fondatori – ha aggiunto don Sicari nel suo saluto – vogliamo continuare il nostro cammino, nella convinzione che, come diceva don Mottola, «la santità salverà il mondo, una santità personale, che si irradia in opere di carità sociale. Ecco l’apologia più efficace di tutti i tempi»”.

  La liturgia eucaristica è stata animata dal Coro “Don Giosué Macrì”, diretto dal maestro Vincenzo Laganà, eseguendo alcuni brani musicali tratti dall’Oratorio Sacro dedicato a don Mottola e composto dallo stesso maestro Laganà.